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Il traduttore

28/05/2016 10:00

Mattia Caruso

Recensione Film,

Il traduttore

Chi è veramente Andrei? Solo un brillante e sensibile studente rumeno arrivato in Italia con una borsa di studio – impegnato a stare a galla come può, tra lavor

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Chi è veramente Andrei? Solo un brillante e sensibile studente rumeno arrivato in Italia con una borsa di studio – impegnato a stare a galla come può, tra lavori in pizzeria e l'ingrato ruolo di interprete per la polizia – oppure un affamato arrivista, pronto a sfruttare l'occasione di un diario da tradurre per inserirsi nel mondo (e nelle grazie) di una ricca, piacente e inconsolabile vedova?


É un'incognita il protagonista de Il traduttore, dolente e tormentato scalatore sociale a sua volta inconsapevole uomo oggetto per un mondo di donne che lo usa per il proprio tornaconto. Così come è un'incognita questo confuso dramma dalle tinte noir diretto da Massimo Natale, dove tutti usano tutti per perseguire i loro - spesso e volentieri poco chiari - interessi. Il sentimento trova sfogo solo nella passione improvvisa(ta), e un tantino pretestuosa, tra un ragazzo e una donna matura. Non è facile capire cosa effettivamente non funzioni ne Il traduttore, cosa effettivamente manchi a questo thriller dai risvolti erotici e dalle pretese sociali che nella costruzione del suo mistero e dei suoi drammi si perde irrimediabilmente dietro a suggestioni posticce e inconsistenti. Forse è proprio la mancata commistione tra i generi a far precipitare una pellicola potenzialmente forte e pregnante in un marasma stereotipato e caotico che pare non decidere mai, dall'inizio alla fine, da quale parte stare; quali degli innumerevoli spunti -e sono molti, a partire dall'integrazione e dall'incontro/scontro tra culture diverse - si propone di sviluppare e scegliere, lasciandosi sballottare di qua e di là da una sceneggiatura estremamente carente, confusionaria e poco plausibile e da un cast di interpreti (eccezione fatta per una convincente Claudia Gerini) ai limiti della prova amatoriale. E poco possono fare una messa in scena curata, un sapiente uso della macchina da presa e una fotografia - firmata da Daniele Ciprì - decisamente incisiva per sollevare le sorti di una storia inconcludente, dalle pretese infinite e dai risultati non dissimili da un convenzionale prodotto televisivo. Il traduttore si rivela così – nella sua forma manchevole di un qualsivoglia contenuto che la giustifichi – una scommessa persa, un oggetto strano, forse persino godibile ma visibilmente incapace di raggiungere quegli scopi cui tanto ostentatamente e grossolanamente aspira.


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