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The Dressmaker - Il diavolo è tornato

09/06/2016 11:00

Martina Calcabrini

Recensione Film,

The Dressmaker - Il diavolo è tornato

Spaghetti western al femminile

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Dopo aver diretto prodotti come Segreti e Gli anni dei ricordi, la regista Jocelyn Moorhouse torna in cabina di regia per firmare The Dressmaker - Il diavolo è tornato, un cangiante adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Rosalie Hamm. Incentrando tutta la narrazione sul fascino magnetico e sulle morbide forme di Kate Winslet, il film si delinea inizialmente come un tipico spaghetti western ma, fotogramma dopo fotogramma, cambia forma e aspetto parallelamente al quantitativo di abiti sfoggiati dalle protagoniste lungo le polverose strade cittadine.


Dungatar, Australia, 1951. Dopo anni di esilio imposto, Tilly Dunnage (Kate Winslet) torna nella sua cittadina natale con l'intento di assistere Molly la pazza, sua madre (Judy Davis), affetta ormai da demenza senile. Incapace di ricordare il motivo del suo allontanamento, la donna cerca risposte dai sui compaesani che, ritenendola un'assassina, si rifiutano di parlare con lei. Per destare la loro attenzione, allora, Tilly fa quello che le riesce meglio: cucire vestiti eccentrici ed eleganti per sentirsi ogni giorno più bella e provocante. Pian piano, tutto il paese sfoggia per le strade le sue creazioni e lei conquista l'occasione di vendicarsi dei torti subiti in passato, anche a costo di perdere nuovamente tutto quello che possiede.


Sposando ambientazioni noir e atmosfere da thriller psicologico, la Moorhouse introduce subito lo spettatore in una storia camaleontica e centripeta, capace di fondere generi diversi in una stessa inquadratura, senza utilizzare tagli nè cesure. La protagonista, deus ex machina di ogni azione, indossa costantemente maschere opposte e complementari e interpreta personaggi pirandelliani superbi e arroganti per nascondere un'estrema fragilità di fondo. Kate Winslet si dimostra un'attrice istrionica e talentuosa, in grado di plasmare il proprio corpo e la propria anima a seconda delle occasioni per (ri)trovare la propria identità perduta. La sua ironia nera - che omaggia quella dei fratelli Coen - unisce situazioni classiche e melodrammatiche a motti di spirito schietti e crudeli, elargendo colpi di frusta tanto fisici quanto metaforici. Difficile, dunque, assegnare a The Dressmaker uno stile chiaro e definito dal momento che la pellicola è un prodotto mutante e metamorfico sui generis e ante litteram, proprio come la sua antieroina.


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