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Güeros

20/06/2016 10:00

Eleonora Piazza

Recensione Film,

Güeros

Premiato nel 2014 al Festival di Berlino come Miglior Opera Prima e al Tribeca Film Festival per la Miglior Fotografia, Gueros è il primo lungometraggio del reg

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Premiato nel 2014 al Festival di Berlino come Miglior Opera Prima e al Tribeca Film Festival per la Miglior Fotografia, Gueros è il primo lungometraggio del regista messicano Alonso Ruizpalacios. "Gueros" - come viene specificato dopo i titoli di testa - è un termine che si riferisce a un individuo dai capelli o dalla carnagione particolarmente chiara; spesso utilizzato, con accezione dispregiativa, per indicare chiunque considerato “diverso”. Siamo nel 1999 e guero è proprio Tomàs, ragazzino irrequieto che viene spedito dalla madre, esasperata, nella casa del suo figlio maggiore, Federico, in una Città del Messico animata da movimenti studenteschi e dilaniata dagli scontri.


L’intero film è pervaso da rumori e brusii. Gli unici momenti in cui i protagonisti sembrano trovare la pace assoluta è quando si mettono le cuffie e ogni suono diventa ovattato e, infine, si annulla. Nelle orecchie dei due fratelli la musica di Epigmenio Cruz, passione ereditata dal padre che li ha lasciati tempo fa. Federico, ex-manifestante per il Movimento, non si sente più a suo agio in quella realtà lacerata: non trovando più un suo posto nel mondo, vive una paralisi. Non esce di casa, non dorme la notte ed è continuamente pervaso da attacchi di panico. Quando i due scoprono che il loro idolo, gravemente malato, è scomparso dall’ospedale in cui si trovava, decidono di affrontare un viaggio all’interno della città per ritrovarlo. Partiranno con loro anche Santos e Ana, quest'ultima figura cardine per il Movimento e ragazza di cui Federico è da sempre innamorato. Al termine del viaggio, tutto acquisirà di nuovo un senso e il sentimento di incomprensione e di inadeguatezza insito in ognuno dei personaggi lascerà spazio all’accettazione della bellezza della gioventù, con tutte le sue contraddizioni e turbolenze.


Gueros è un film che appare diviso in due parti: si transita, infatti, senza troppi convenevoli, dalla stasi più totale al dinamismo tipico dei road movie. Un susseguirsi di campi lunghi introduce in paesaggi aridi ed essenziali che rimandano all’esperienza visuale di Ozu nell’ineccepibile Viaggio a Tokyo. Una regia racconta una città che continua a impoverirsi e a modificarsi irrimediabilmente sotto gli occhi rassegnati dei suoi abitanti. A estremizzare questa sensazione di limbo, il bianco e nero - presente in tutto il film - immerge ancor di più in un passato che si stenta tuttora a comprendere del tutto. In questa prima parte, l’immagine, densa e spoglia al tempo stesso, lascia spazio al sarcasmo dei dialoghi dei personaggi, malinconici e disillusi, prima che questi ultimi vengano scossi dalla presa di coscienza di essere ancora vivi. All’improvviso, ogni schema pregresso viene abbandonato e i protagonisti, letteralmente scaraventati giù dalle scale, in fuga dai vicini di casa a cui rubavano la corrente, finalmente si muovono. Pedinati dalla camera a mano, abbandonano le loro sagome stantie sui divani dell’appartamento. Tutto diventa libero, frenetico e concitato e la parola viene lasciata alla città, che diventa protagonista assoluta. I ragazzi la attraversano da nord a sud, da est a ovest e questa sembra svelarsi a mano a mano al loro passaggio, manifestando fratture e diversità che fanno sembrare ogni zona una città a sé stante e differente dalle altre.


È quasi istantaneo ritrovare in questo emozionato spostamento di corpi, giovani e ribelli, il cinema della Nouvelle Vague, a cui il regista si ispira dichiaratamente. A partire dalla fuga iniziale di un Tomàs incompreso, che ci ricorda l’Antoine Doinel de I Quattrocenti colpi, fino ai momenti di libertà e trasgressione che i personaggi si conquistano poco a poco, ricordandoci Bande A Part di Jean-Luc Godard. Un finale intenso, ricco di suspance e aspettativa, tradendo lo spettatore regala paradossalmente il senso dell’intera pellicola. Non è stato tutto vano, perché in realtà, non era Epigmenio Cruz che i due fratelli stavano cercando. Il fantomatico eroe non è che un mero e poetico pretesto per due anime sole di andare alla ricerca di se stesse e, inaspettatamente, ritrovarsi.


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