Siamo intorno all’anno 0, La Via della Seta è una rotta commerciale che unisce occidente e oriente, venendo percorsa da commercianti e guerrieri di tante diverse nazionalità, gli scontri sono all’ordine del giorno, ma un manipolo di addestratissimi guerrieri, capitanati da Huo An (Jackie Chan), vigila per mantenere l’ordine. Accusato ingiustamente di tradimento, Huo An è condannato con i suoi a lavorare alla ricostruzione dei Cancelli delle Oche Selvatiche, una città-forte che difende l’importante rotta. Alle soglie del fortilizio giungono i soldati della legione romana condotta dal generale Lucio (John Cusack), diretti verso est per proteggere Publio, figlio più giovane del Console Crasso, dal fratello malvagio Tiberio (Adrien Brody) assassino del padre e reo di aver accecato il fratellino. Lucio combatte contro Huo An per procedere oltre, in un duello alla pari che si conclude quando Huo An concede ai romani esausti riparo da una pericolosa tempesta di sabbia. In cambio, la legione di Lucio aiuta gli uomini di Huo An a terminare i lavori di riparazione dei Cancelli in un clima di armonia tra i popoli che è il sogno dello stesso Huo An. Quando Tiberio li raggiunge con un esercito forte di 100.000 uomini, esige da Huo An che gli vengano consegnati Lucio e Publio, altrimenti le sue armate annetteranno la Cina. Per proteggere il suo Paese e per discolparsi dall'accusa di tradimento, Huo An riunisce i guerrieri di 36 nazioni di etnie diverse per combattere insieme Tiberio. Kolossal cinese diretto da Daniel Lee, La Battaglia degli Imperi è un film ingenuo quanto evidentemente costoso, che intreccia un racconto di fantastoria che richiama da vicino L’Impero dei Draghi di Valerio Massimo Manfredi proponendo una narrazione filmica che definire altalenante è un eufemismo. Il potenziale respiro epico del film non decolla mai nonostante diverse situazioni e personaggi che lo permetterebbero, perché il registro adottato varia continuamente, finendo più di una volta nel comico – con scene che sono palesi richiami ai classici film d’azione di Jackie Chan e, non a caso, vedono lui protagonista – o addirittura nel musical quasi disneyano. Malgrado la grande quantità di comparse e personaggi secondari, anche le scene di combattimento di massa non catturano lo spettatore, mentre innegabilmente alcuni scontri testa a testa, come quelli fra Lucio e Huo An e fra Huo An e Tiberio sono costruiti bene e si giovano di attori più credibili di quel che si sarebbe supposto prima della visione. In particolare Adrien Brody riesce a dare al suo Tiberio un carisma inaspettato, in particolare considerando la natura malvagia con la quale è dipinto, in cui follia e raziocinio vanno di pari passo con la crudeltà e il coraggio. Un tema principale anima tutto La Battaglia degli Imperi: un sentimento di fratellanza universale, che sembra difficile poter applicare all’epoca in cui è ambientato il film, ma che è così fermamente sostenuto da Huo An che si finisce per crederci e fornisce lo spunto per alcune sequenze curiose, come quelle della collaborazione fra Romani, Cinesi e altri popoli nella costruzione della fortezza, con il lavoro comune a stringere rapporti e a dare forza alla reciproca comprensione. I Romani hanno un ruolo fondamentale sia nel bene che nel male: Lucio e i suoi uomini sono guerrieri valorosi e abili ingegneri, che danno lustro all’Impero con la loro sapienza e nobiltà d’animo; Tiberio e le sue legioni sono l’espressione del potere che cerca potere, ma al contempo è un fine calcolatore e un valoroso combattente, vittima come tanti leader di una megalomania paranoica che lo porta a compiere le peggiori bassezze. La Battaglia degli Imperi è un esperimento fallimentare per troppi versi: una regia confusa, un montaggio ingenuo, una scrittura discutibile (in particolare rispetto alle sequenze di incipit e conclusiva, ambientate ai giorni nostri…), incapace di toccare davvero le corde di una qualsiasi emozione, perché le cerca esprimendosi con i registri sbagliati. Alcuni siparietti sono divertenti e alcune coreografie sono riuscite, ma purtroppo non basta a farne uno spettacolo di qualità, in particolare se confrontato con analoghe produzioni, sia orientali che occidentali.