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Good Kill

14/09/2016 11:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Good Kill

Thomas Egan, maggiore dell'aeronautica americana, è un perfetto soldato della guerra moderna, ossia quella non combattuta sul campo ma dal monitor di uno scherm

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Thomas Egan, maggiore dell'aeronautica americana, è un perfetto soldato della guerra moderna, ossia quella non combattuta sul campo ma dal monitor di uno schermo. Il militare infatti, operando da una base dell'Air Force nei pressi di Las Vegas, è a capo di un team che gestisce dei droni senza pilota a migliaia di km di distanza per abbattere potenziali cellule terroristiche in Afghanistan e altri Paesi nemici dell'Occidente. Durante i suoi turni di "lavoro" Egan si trova ad eseguire ordini via via sempre più scomodi, che lo portano ad avere rimorsi che influiscono non poco sulla sua salute mentale e conseguentemente deteriorano il rapporto con la moglie e i figli piccoli, mentre al contempo l'uomo aspira a poter tornare a volare come faceva in gioventù su aerei da combattimento.


Si combattono due tipi di guerre in Good Kill: una è quella che si palesa nei monitor degli schermi dove una cloche e un mirino possono trasformarsi in implacabili strumenti di morte, l'altra è nascosta ma non tarda a manifestarsi nei comportamenti del protagonista, soldato vecchia scuola sempre più scosso dopo i vari massacri eseguiti per ordini superiori. Terza collaborazione dopo Gattaca - La porta dell'universo (1997) e Lord of War (2005) tra il regista Andrew Niccol ed Ethan Hawke, il titolo è un dramma amaro sulla coscienza di un uomo che si trova a combattere coi propri demoni che lentamente iniziano a consumarlo giorno dopo giorno. Il confine tra buoni e cattivi, con i militari americani portatori di pace che qui altro non si rivelano che schiavi di un sistema spietato e dominato dagli interessi, con l'ingerenza della CIA a giocare un ruolo importante, è tanto labile quanto ambiguo in una narrazione che prova ad esprimere diversi punti di vista senza il coraggio di prendere una posizione netta: a pagarne dazio sono proprio le caratterizzazioni dei personaggi che, tolto Egan, si rivelano privi di personalità e involontarie caricature. I cento minuti di visione risentono di una costante monotonia solo parzialmente illuminata dall'intensa interpretazione di Hawke, capace di sfumare superbamente una figura la cui complessità avrebbe richiesto una sceneggiatura più all'altezza. Tanto che la valenza di questo conflitto combattuto con armi impari, paradossalmente erede di una generazione videoludica, non trova mai ragione d'essere, sfociando in banalità assortite che vanno a sminuire una tematica che meritava ben altre e più profonde riflessioni, qui lasciate in una naftalina narrativa che punta, fallendo, a far sentire in colpa il mondo occidentale senza la necessaria forza cinematografica.


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