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Knight of Cups

09/11/2016 11:00

Roberto Semprebene

Recensione Film,

Knight of Cups

La solitudine dell’essere umano, il dolore e il senso di colpa

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La solitudine dell’essere umano, il dolore e il senso di colpa; la perdita di se stessi in un contesto in cui, una volta inseriti, si perde il contatto con la realtà più vera e materiale ma anche con il proprio io, con la necessità di ricordare la propria identità e conseguentemente il proprio vero posto nel mondo. Sono suggestioni, solo alcune di quelle che Knight of Cups, ultima fatica di Terrence Malick, suggerisce allo spettatore che non si voglia limitare a seguire una successione di capitoli. Perchè si sa, pur nella loro potenza e qualità estetica, le opere di Malick non si offrono in modo chiaro e definito. E anche Knight of Cups segue l’impostazione filosofica ed estetizzante di The Tree of life e To the wonder.


Rick (Christian Bale) è uno scrittore di successo a Hollywood, un uomo che può avere quello che vuole e che non si priva di niente, ma che mai riesce a essere davvero felice. Non ha saputo metabolizzare la perdita di un fratello e i rapporti complessi con la famiglia. In parallelismo con un’antica favola, Rick è come un principe che, giunto in Egitto alla ricerca di una perla, beve da una coppa che gli fa dimenticare chi lui sia e quale sia il suo scopo nel mondo. La mancanza di senso e di consapevolezza, l’indifferenza e l'apatia che questo comporta si riflettono interiormente nella metafora di un pellegrinaggio nel deserto ed esteriormente nella sua casa spoglia, asettica, impersonale.


Il viaggio di Rick procede per capitoli che traggono il titolo da carte dei tarocchi, in un rimando simbolico che indica intuitivamente il ruolo dei diversi rapporti della sua vita. Sono principalmente le donne (Cate Blanchett, Natalie Portman, Imogen Potts, Freida Pinto, Teresa Palmer) i personaggi con i quali Rick si interfaccia: bellissime, interessanti, ricche di una vita interiore e di sensibilità profondamente diverse; una progressione di avvicinamento al vero io del protagonista che va di pari passo con la riscoperta di sé. Nel frattempo, la vita continua inesorabile in un mondo in cui natura e cultura coesistono, parimenti indifferenti alle vicende dei singoli. È nella rappresentazione di spazi naturali e urbani, accostati a volte senza un evidente criterio, che riemerge la tendenza estetizzante di Terrence Malick: una ricerca del sublime che, nel suo essere molto cerebrale, può apparire fredda e distaccata, pur non mancando di colpire. Come terzo elemento di un ideale trittico composto da The Tree of life e To the wonder, Knight of Cups perde in originalità ed effetto straniante in favore di un’impostazione che ricalca, seppur semplificandola in parte, quella dei precedenti film. Sul piano estetico è più forte l’effetto patinato: la fotografia per certi versi sembra rimandare ai commercial dei profumi, come ad assecondare una percezione stereotipizzata del mondo del cinema e dello spettacolo. Un film intenso, con interpreti che sanno rendere al meglio personaggi complessi: in particolare Christian Bale fa leva su una recitazione quasi esclusivamente fisica. Un film retorico, per diversi aspetti più banale dei precedenti. Ma ce ne fossero di film così.


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