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Much Loved

22/11/2016 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Much Loved

Dopo essere stato censurato in Marocco, il film di Nabil Ayouch arriva in Italia

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Noha (Loubna Abidar) vive a Marrakesh. Di notte fa la prostituta, di giorno si occupa di suo figlio e risponde ai rimproveri di sua madre. Attorno a Noah e alle sue colleghe Soukaina e Randa si muove un universo crudele, a cui ogni giorno e ogni notte le donne devono sopravvivere.


Apparentemente, l'inizio di Much loved è quanto di esplicito un dialogo cinematografico possa offrire sulla professione più antica del mondo. Il mestiere delle tre donne in scena è da subito chiaro, così come è chiaro che Nabil Ayouch, regista francese di origini marocchine, non ha alcuna voglia di perdere tempo a ricamare assoluzioni intorno ai suoi personaggi. E questo, forse, ci scandalizza. Ma bisogna andare avanti con la visione per accorgersi che il film di Ayouch, nettamente diviso fra giorno e notte, fra le due vite di Noha, finisce per ribaltare del tutto le prospettive iniziali. La parte più amara della vita della protagonista, infatti, non è tanto il lavoro ma il suo ruolo diurno: quando si toglie gli abiti vistosi e indossa i panni invisibili di una fra le tante donne marocchine. L'universo notturno di Noha è equilibrato da un principio di sopravvivenza in cui predatori e prede convivono per attaccare e difendersi: i clienti si prendono dalle donne quello che desiderano; Noha e le sue amiche strappano loro soldi, promesse e ogni cosa necessaria. Solo quando rimane sola con le proprie responsabilità, la protagonista appare sperduta, confusa tra due ruoli femminili che le non le sono stati del tutto imposti e che non ha davvero scelto. Lo scandalo, quindi, non sembra essere tanto la rappresentazione (fin troppo scontata) della vita notturna di una prostituta, ma la sua giustificazione in società. Alla luce del sole, Noha non ha più nulla, neanche il suo pericoloso ambiente protetto.


Viene quindi voglia di chiedersi se il clamore che Much loved ha suscitato, soprattutto in patria (una censura spietata ne ha bloccato la distribuzione in Marocco), sia per la parte più diretta del film o per i contenuti che vanno scavati, durante la visione, e che svelano un mondo di donne fatto di segreti e sofferenze non solo fisiche. Di contro ci sono gli uomini: grotteschi, sempre in branco eppure irrimediabilmente soli. E se questa solitudine non fosse abbastanza chiara, il personaggio di Said - maschio fuori dal coro - riunisce in sé l'isolamento di una e dell'altra parte.Va detto che il film di Ayouch non è un'opera particolarmente brillante da un punto di vista cinematografico: i ritmi francesi si mescolano allo stile retorico di un cinema ancora grezzo che, si percepisce soprattutto nei dialoghi, non riesce ancora a dosare tempi e temi lungo la narrazione. Ma la forza di un film come Much loved resta nella lucidità con la quale il suo autore restituisce un racconto femminile, che merita più di una prima impressione.


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