Lucia Annibali (Cristiana Capotondi) è una stimata avvocatessa. Durante una causa conosce l’avvocato Luca Varani (Alessandro Averone), se ne innamora e decide di andarci a vivere insieme. Ben presto, però, l'uomo si rivela un bugiardo e un violento. Lucia vuole troncare ogni rapporto ma Varani non lo permette e inizia invece a perseguitarla. La possessività dell’uomo arriva a fargli commettere un gesto delirante e criminale: sfigurare la faccia di Lucia con l’acido. Per la donna, costretta a ricostruirsi il volto e anche la vita, inizia il calvario e al tempo stesso la rinascita. Io ci sono racconta la storia di Lucia Annibali e della vicenda di cronaca che l’ha vista protagonista. Luciano Manuzzi dirige un film per la tv, tratto dall’omonimo libro che l’avvocatessa ha scritto in collaborazione con la giornalista Giusi Fasano: una storia di "non amore", come riporta il sottotitolo. A tre anni di distanza dalla cronaca, il film offre ai telespettatori un ritratto discreto e non eccessivamente romanzato di quella storia maledetta. La vicenda si apre proprio con il culmine drammatico e prosegue a ritroso per raccontare il crescendo di quella orribile violenza e il suo post: “Varani, è stato Luca Varani. Dovete dirlo che non c’è riuscito ad annientarmi”, una consapevolezza immediata ha portato la giovane donna a riaffermarsi con fermezza superando il dolore. Senza, però, ignorarlo: vivendolo giorno dopo giorno, passo dopo passo, intervento su intervento. Tale scalata – giudiziaria e chirurgica – è riportata sugli schermi con dovizia di particolari e poche alterazioni. Il film Rai segue due storie parallele: la vita di Lucia, che nonostante le difficoltà non rinuncia alla sua femminilità e ad avere una vita sociale e il diffondersi della violenza. Un richiamo sordo, che attanaglia e pervade i sensi, facendo perdere il lume della ragione a un uomo ormai in balia dei suoi istinti. Il titolo Io ci sono richiama la volontà di non restare impassibili a certe scelleratezze, non cadere nel silenzio, non lasciarsi vincere dalla paura. Cento minuti pesanti, ma in qualche modo utili per comprendere quanto si cela dietro una violenza che non si può delimitare esclusivamente a una questione gender. La stessa Annibali, in conferenza stampa, ribadisce quanto anche gli uomini siano vittime di violenza. A mancare è la cultura dell’affettività, che questo film spera di restituire in maniera schietta.