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Chi mi ha incontrato, non mi ha visto

26/11/2016 11:00

Samantha Ruboni

Recensione Film,

Chi mi ha incontrato, non mi ha visto

Bruno Bigoni dirige se stesso, regista e appassionato di Arthur Rimbaud

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Questa è la storia di Bruno Bigoni, regista e appassionato di Arthur Rimbaud. Bruno compra da una misteriosa francese una foto che ritrae il poeta, appena amputata la gamba, che tiene tra le sue mani alcuni versi inediti. Per capire se questo documento è reale, Bruno comincia un viaggio attraverso i luoghi che hanno fatto la storia di Rimbaud.


Presentato al 34 ° Torino Film Festival, il documentario vuole portarci all'interno di uno dei misteri della letteratura francese: perché Arthur Rimbaud ha smesso di scrivere poesie a vent'anni? Definito il "poeta bambino", nacque a Charleville nel 1854. Denigrò il perbenismo del suo paese natale, scappò giovanissimo di casa, unendosi a Verlaine in una scandalosa relazione; attaccò Stato e Istituzioni, sbeffeggiò la religione, finì in carcere, ripudiò i canoni formali della poesia, vagabondò per tutta Europa e teorizzò la funzione sociale del poeta veggente. All'improvviso, ancora giovanissimo, abbandonò l'arte e i suoi ideali. Arrivò in Africa, dove si diede al commercio di spezie, armi e pellami. A 37 anni venne colpito da un tumore alla gamba, che lo fece tornare in patria e ne causò l'amputazione della gamba e di conseguenza la sua morte. Il regista Bruno Bigoni cerca di comprendere questo mistero comprando una foto in cui, dice la proprietaria, è ritratto Rimbaud nei suoi ultimi giorni di vita in ospedale: il volto nascosto e tra le mani un foglio con delle righe inedite di un suo poema. Quindi Rimbaud non ha mai smesso di scrivere? Seguiamo il regista nel suo viaggio alla ricerca di prove, da Milano a Charleville, in Francia, città natale del poeta. Bruno cerca l'autenticità dai massimi esperti del poeta, parla con la pronipote di Rimbaud e contempla la tomba del poeta. Nonostante tutte le perizie siano contro di lui, Bruno è convinto dell'autenticità della foto. Ma la verità non sta forse in quello che vogliamo credere?


Girato in presa diretta, il film gira attorno a Bruno e ai suoi viaggi. Aiutato da amici e parenti, il regista usa le ultime tecnologie per ottenere il girato, dalla go-pro allo smartphone e al tablet, e dare al film un senso di amatoriale. Che non riesce a ottenere. Non solo le riprese, ma anche la recitazione dei protagonisti risulta studiata a tavolino. Aleggia un'aura di finzione che va a intaccare e la ricerca cade nel vuoto. Lo spettatore, alla fine di tutto, non capisce cosa voglia dire il regista e rimane quindi basito. Il finale, risollevato da un audio che ci fa ascoltare quella che sembrerebbe la voce di Rimbaud, concede il fascino della scoperta ma lascia molte altre domande sul poeta bambino.


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