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Sully

30/11/2016 12:00

Roberto Semprebene

Recensione Film,

Sully

Clint Eastwood dirige l’adattamento cinematografico dell’autobiografia del comandante Sully

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Il 15 gennaio 2009 New York visse un miracolo, unico nella storia dell’aviazione civile: l’airbus A320 in servizio per il volo US Airways 1549, pilotato dal comandante Chesley Sullenberger, riuscì in un ammaraggio d’emergenza sul fiume Hudson senza che nessuna delle 155 persone a bordo perdesse la vita. Quindici anni dopo Clint Eastwood dirige l’adattamento cinematografico dell’autobiografia di Chesley "Sully” Sullenberg, celebrando l’evento che stupì e commosse una città e una Nazione piuttosto restia a credere nei miracoli da otto anni a quella parte.


Sully, come lascia intendere il titolo, si concentra sulla figura del comandante Sullenberg, interpretato da un intenso Tom Hanks, decisamente calato nella parte e credibile, al pari di Aaron Eckhart nei panni Jeff Skiles, primo ufficiale. Sully è un uomo schivo e pacato, innamorato del suo lavoro e forte di un’esperienza di quarant'anni in volo. Nel momento in cui, poco dopo il decollo, il suo aereo impatta uno stormo di uccelli, perdendo la spinta di entrambi i motori, al protagonista resta ben poco tempo per decidere il da farsi: cercare di raggiungere una pista di atterraggio è un’opzione impossibile, così il pilota si assume la responsabilità e i rischi di un ammaraggio sull’Hudson. La straordinarietà del suo gesto, e il pronto intervento dei soccorsi, consentono a tutti i passeggeri e all’equipaggio di uscire vivi dal disastro. I media e la gente acclamano Sully come un eroe, ma la commissione d’indagine sull’incidente è intenzionata a dimostrare che sarebbe stato possibile un epilogo anche migliore, con un rientro in sicurezza in aeroporto.


La celebrazione del fattore umano in contrasto con la disumana ricerca della perfetta reazione all’evento imprevisto è uno dei temi focali del film, e si articola magnificamente nelle udienze che Sully è costretto ad avere con la commissione d’inchiesta. Si crea un paradosso per il quale all’eroe pubblico si contrappone un accusato che rischia carriera e pensione, e sente con angoscia il peso di questo contrasto. Eastwood compone su un fatto di cronaca, di cui conosciamo già sviluppo ed epilogo, un dramma personale e un vero e proprio legal thriller, tanto asciutto quanto emotivamente avvincente, che non manca di farci trattenere il fiato. La scelta di regia è tipicamente eastwoodiana, forse anche più che in altri contesti, e tende a un resoconto in cui, una volta chiarita la statura morale della persona, si può persino ridere di quanto non è successo. L’attenzione è dedicata all’uomo Sully, che, in forte contrasto con l’aura di eroe che i media e la popolazione di New York e degli Stati Uniti gli riconoscono, è traumatizzato dagli eventi e non sente di aver fatto altro che il proprio lavoro, con tutte le sue responsabilità.


Invece del classico stereotipo dell’eroe americano, Sully celebra la grandezza dell’uomo che sente di essere parte di una collettività; che riconosce i meriti del suo successo a un lavoro di squadra, senza attribuirsi, e men che meno riconoscersi, la titolarità di un gesto straordinario. Ennesimo film figlio del post 11 settembre, Sully costituisce, però, una riflessione diversa sull’America e sulla sua grandezza: non più una nazione di eroi che si distinguono, ma un popolo che vuole, sa e sente di fare il proprio dovere; che trova la grandiosità nella normalità, nell'attenzione al prossimo e, a conti fatti, in un sentimento d’amore che fa anteporre il bene degli altri a qualsiasi altra considerazione.


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