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un progetto di Piano9 Produzioni

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7 minuti

10/03/2017 11:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

7 minuti

7 minuti, a cosa si è disposti pur di non perdere il lavoro?

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L'azienda tessile Varazzi è prossima a firmare un importante accordo con degli investitori francesi, ultima spiaggia per evitare il probabile fallimento. Quando il contratto sta per essere firmato i nuovi partner impongono però un'ulteriore clausola riguardante le lavoratrici che, qualora dovessero accettare la proposta, avranno sette minuti di pausa giornaliera in meno. Di fronte all'eventualità di poter perdere il posto le undici dipendenti che formano il consiglio pensano inizialmente di accettare la richiesta, salvo venire meno alle proprie convinzioni quando Bianca, rappresentante sindacale nella fabbrica da decenni, non le mette di altro avviso.


Su una struttura da camera in stile La parola ai giurati (1957) Michele Placido imbastisce un teso dramma incentrato sul mondo del lavoro, contrapponendo i diritti dei dipendenti agli interessi dei dirigenti in un film che si rivela quanto mai attuale nella difficile situazione contemporanea del nostro Paese. Tratto dall'omonimo testo teatrale di Stefano Massini e ispirato a una storia realmente accaduta nel 2012 in terra d'Oltralpe, 7 minuti si rivela sorprendente nei suoi straripanti eccessi emotivi, con risvolti che assumono aliti sempre più ardui con lo scorrere dei minuti nelle discussioni in seno alle donne, più o meno giovani, facenti parte del consiglio e responsabili della scelta definitiva anche per le loro colleghe. Un'opera di questo tipo non può che vivere sulle interpretazioni delle protagoniste, con Ottavia Piccolo e Ambra Angiolini a guidare un ottimo cast in cui è presente anche la cantante Fiorella Mannoia, al suo ritorno davanti alla macchina da presa dopo tredici anni. Se le performance reggono il peso emotivo della concitata vicenda, ambientata per la quasi totalità nelle quattro mura di una stanza della fabbrica, il reiterarsi di stereotipi guasta parzialmente la verosimiglianza della vicenda in un titolo che si vorrebbe ancorato fortemente al reale. Dalla ragazza incinta di Cristina Capotondi alla post-adolescente fresca di diploma, dall'immigrata scampata alla guerra alla donna picchiata dal marito fino ad arrivare all'impiegata in sedia a rotelle (un altrettanto convincente Violante Placido) i caratteri dei diversi personaggi finiscono schiavi di figurine pre-costruite più adatte ad assemblare un'idea di tipologie che un impianto plausibile. Un piccolo difetto di forma che penalizza un racconto altrimenti sanguigno e pulsante capace di suscitare dibattiti e spunti di riflessione non poi così scontati.


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