In seguito a un cedimento strutturale del loro edificio, Emad e sua moglie Rana sono costretti ad abbandonare temporaneamente l'appartamento in cui vivono. Su indicazione di un collega della compagnia teatrale in cui lavorano, prossima a portare in scena Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, i coniugi vanno ad abitare in una nuova palazzina, ignari che la precedente inquilina fosse "una poco di buono". Una sera Rana, rispondendo al citofono convinta che sia il marito, lascia la porta di casa aperta e viene aggredita da un individuo sconosciuto. Per Emad ora inizia una personale caccia all'uomo per scoprire l'identità dell'assalitore. Teatro e vita si fondono nell'ultima, grande, opera del regista iraniano Asghar Farhadi, vincitrice del Premio Oscar come Miglior Film Straniero alla appena trascorsa edizione degli Academy Awards. Un film che guarda a L'ultimo metrò (1981) per le continue corrispondenze tra le due arti e a Prisoners (2013) di Denis Villeneuve per alcuni risvolti che conducono a riflettere sui temi della pietà e del perdono in un contesto accecato inizialmente solo dalla sete di vendetta. La sceneggiatura ci cala in un'intimità familiare ben presto scossa dall'evento traumatico di cui è vittima la protagonista femminile e che si riflette anche sul palcoscenico, così come la reazione assai diversa del marito accecato dal rimorso e dall'impossibilità di dimenticare. In un gioco machiavellico e amarissimo, con un epilogo in cui dramma e speranza si alternano in un'entità mutagena e crudele, Il cliente non lesina in sussulti sociali e politici sulla condizione dell'Iran anche se con meno esibita irriverenza rispetto alla passata carriera del cineasta. Gli preme soprattutto tratteggiare un disegno profondamente umano, scavando con rabbiosa forza nella ronda dei sentimenti e delle emozioni e tralasciando istinti retorici in favore di un'analisi psicologica curata e complessa nelle complementari diversità delle reazioni dei coniugi, entità specchiate tra il pubblico e il privato in cui l'amore si trova costretto a convivere con l'odio e con la paura. E la solo apparente trattenuta gestione dei personaggi trova un istintivo legame empatico nelle sublimi interpretazioni del cast, a cominciare proprio dalle due figure principali cui donano magistralmente anima e corpo Shahab Hosseini e Taraneh Alidoosti.