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Riparare i Viventi

08/02/2017 12:00

Andrea Desideri

Recensione Film,

Riparare i Viventi

Katell Quillèvèr dirige un intenso dramma familiare

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Un gruppo di giovani surfisti si ritrova su una spiaggia aspettando di cavalcare le onde. Dopo aver trascorso l’alba sulle tavole da surf, i ragazzi restano coinvolti in un incidente stradale: Simon (Gabin Verdet), senza cintura di sicurezza, è la sola vittima. I medici ne hanno riscontrato e certificato la morte cerebrale. Vive soltanto grazie al supporto di macchinari. I suoi organi, però, sono sanissimi e potrebbero salvare molte persone che sono in attesa di un trapianto come Claire (Anne Dorval), che vive a Parigi e sta aspettando un cuore nuovo.


Katell Quillèvèr porta sugli schermi un dramma familiare, prendendo spunto dal romanzo di Maylis De Kerangal. Riparare i viventi ripercorre in maniera accurata la tragedia di una famiglia che si sveglia con la notizia della morte del figlio primogenito. Sopravvivere ai propri figli, molto spesso, è considerato come un atto imprevedibile e controverso ma proprio sull’imprevedibilità della morte si basa l’intero film: la caducità della vita che ci coglie in momenti inaspettati. Riparare i viventi sottolinea come ognuno sia in balia degli eventi: una vita che si spegne, paradossalmente, può riaccenderne un’altra. Ecco perché quest’opera cinematografica accende i riflettori su una questione annosa ma attuale: la donazione di organi. Oltre a confrontarsi con il dolore bisogna aver il coraggio di prendere una decisione e capire che ognuno è parte di una collettività e può, eventualmente, dare un contributo importante.


Il personaggio di Claire rappresenta l’altra faccia della medaglia: il cuore di Simon la riporterà a vivere una vita normale, ma questo non è sufficiente a smorzare i mille dubbi e le paure che travolgono chi è in attesa di un trapianto. L’iter sanitario ed emotivo viene riproposto sugli schermi, con una consistenza tale da restituire credibilità e realismo all’intero prodotto. La chirurgia può salvare una vita, ma allo stesso tempo stravolgerla. Il tutto viene focalizzato senza sconti e il risultato sono cento minuti di pathòs e riflessioni che non abbandonano certo lo spettatore dopo i titoli di coda. E del resto ogni scena di Riparare i viventi è pesata a costruira in modo tale da creare con le altre del film un disegno strutturale composto ad arte, che sconvolge e cattura il pubblico.


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