Daniel Plainview è un cercatore di petrolio, e nella cittadina di Little Boston – un agglomerato di casupole sperduto nella California d’inizio Novecento – il terreno è particolarmente ricco. Le sue promesse sono le solite, ma senza dubbio stimolano la fantasia dei villici: i pozzi di trivellazione porterebbero nuove strade, una nuova scuola, un vero e proprio rinascimento economico per l’intera comunità. E, perché no, magari anche una nuova chiesa, adeguata alle ambizioni più o meno spirituali del culto della “terza rivelazione”, movimento fondato da un giovane, Eli Sunday, che Daniel incontrerà spesso sul proprio cammino. Il titolo originale de Il petroliere assicura che «ci sarà sangue», e una simile promessa non può certo cadere nel vuoto: nella vita di Daniel Plainview il sangue scorre copioso quanto il petrolio che abilmente fiuta nel sottosuolo, e proprio sul sangue egli fonda la sua fortuna; il sangue di chi, lavorando, si è inconsapevolmente sacrificato alla trivellazione di un pozzo, oppure il sangue di chi è vittima della vendetta, e di una furia ben più animalesca che umana. Ma forse a fluire è il sangue di un’intera nazione, mentre il successo di uno diventerà, nel tempo, il successo di pochi. Dopo averne raccontato l’attualità con i suoi variegati abitanti (da Boogie Nights a Magnolia), Paul Thomas Anderson guarda alle radici dell’amata California, addentrandosi nel momento in cui – fra il primo e il terzo decennio del secolo scorso – fiorì il benessere del più ricco stato americano, quando il sole ardeva sul terreno ancora incolto e sul legno di casupole fossilizzate nel nulla. Il romanzo Petrolio! di Upton Sinclair costituiva una sicura base di partenza, ma Anderson se ne è presto distaccato per indicare ai suoi personaggi una strada autonoma: così, immersa in una ricostruzione d’epoca sapientemente sporca, cinica e cattiva (ed esemplare tanto nei costumi quanto nei colori, di terrosa visceralità), si narra la storia di due ambizioni parallele, differenti solo all’apparenza. L’avidità materiale di Daniel Plainview e il fanatismo spirituale di Eli Sunday si sviluppano dallo stesso seme, godono dei medesimi successi e incarnano l’anima duplice di una nazione perennemente divisa fra l’uno e l’altro, ma ormai abituata a trarre vantaggio da entrambi, a seconda dei casi. Perché la perdita dell’innocenza, sembra dirci Anderson, si è verificata ben prima della guerra del Vietnam. Potente e quasi epico, Il petroliere ha il fascino del grande affresco (non solo per la durata, che in ogni caso non influisce sul ritmo), e impatta sull’immaginario di chi guarda con immagini a tratti memorabili: la sequenza dell’esplosione del pozzo, in tutta la sua drammatica e lirica spettacolarità, dimostra il nuovo grado di maturazione espressiva raggiunto da Anderson, sempre raffinato nella costruzione dell’inquadratura e nell’impiego delle musiche, mai così ossessionanti. E Daniel Day-Lewis, nel ritratto della “titanica” figura di Plainview, ovviamente giganteggia.