Francois Gautier (Dany Boon) è uno stimato violinista francese. Apparentemente è un uomo distinto, pacato e determinato nel suo lavoro, tutte qualità che potrebbero renderlo interessante. Ma ha un unico difetto: è tirchio, morbosamente attaccato ai suoi soldi. Tiene la luce al minimo e i riscaldamenti dosati, il suo cibo è centellinato e le bollette irrisorie. Fino a quando non arriva una figlia inaspettata e un amore sorprendente. Allora Francois dovrà aprire il suo portafoglio, imparando a fare i conti non soltanto con le banconote. Fred Cavayè, dopo tre thriller piuttosto cupi come Anything for her, Point black e Mea culpa, cambia genere e torna nelle sale con una commedia: Un tirchio quasi perfetto. Il regista e sceneggiatore si è sempre misurato con “film della domenica”, così li ha definiti lui stesso in conferenza stampa, cioè opere destinate al grande pubblico, per incassare al botteghino. La sua è un'assoluta e inguaribile voglia di fare cinema senza sottotesti o significati troppo astrusi, toccando generi diversi e le più varie corde artistiche. Stavolta, vuole – attraverso un sorriso amaro – portare alla ribalta il peccato capitale dell’avarizia, che molti fraintendono con l’oculatezza, partendo dal riferimento più illustre a disposizione: L’avaro di Molière. Un tirchio quasi perfetto racconta l’epopea di un uomo schiavo delle sue ansie, derivanti da una famiglia scapestrata che prendeva tutto troppo alla leggera, che in età adulta portano all’eccesso di parsimonia. Il risultato è una vita passata a rincorrere la continua perfezione e stabilità economica. L’unico rapporto duraturo mai intrapreso da Francois è quello col direttore di banca, per poi tornare a casa e godersi i frutti del proprio operato da risparmiatore modello. Tutto bene fin quando non bussa alla porta il cambiamento, che veste i panni di una figlia (frutto di una notte di passione) e un nuovo amore, una dolce violoncellista. A vestire i panni di questo goffo avaro è Dany Boon: la sua mimica è espressiva al punto che, anche quando interpreta scene più drammatiche, è in grado di far presa sul pubblico e divertirlo. In questo film, infatti, le emozioni non sono costruite per cercare a ogni costo la risata: l’obiettivo resta focalizzare il tema principale, l’avarizia, che s’interseca con altri sotto argomenti come la paternità e la gestione degli affetti. Si può essere avari economicamente, ma riuscire a dare peso a ogni emozione. Basta volerlo. Un tirchio quasi perfetto propone una sceneggiatura con un fondo di verità che spalanca le porte all’imprevisto e ricorda quanto la vita sia un percorso indecifrabile nonostante gli sforzi che facciamo per indirizzarla.