
Nel suo nuovo lavoro Edoardo Falcone, come lui stesso afferma, vuole esplorare come si può evolvere e cosa può generare il senso di perdita nella nostra vita. Una perdita che può derivare dalla scomparsa di una persona cara, dalla mancanza di relazioni autentiche e approfondite, o più semplicemente dalle difficoltà che si incontrano sulla nostra strada. Alla sua seconda opera come regista, Falcone, torna dopo Se Dio vuole del 2014 – pronto a diventare presto un remake a stelle e strisce – a parlare di argomenti universali e spirituali, almeno sulla carta. La pellicola strizza fortemente l’occhio alla nostra cara e sempreverde commedia all’italiana, cercando però di non cadere nelle solite banalità. Il cinema leggero, infatti, sembra stia attraversando in Italia una crisi di contenuti e proprio quella che una volta era il fiore all’occhiello della nostra produzione, la commedia, oggi ricade spesso nella sciatteria e nella futilità. Non è il caso di Questione di Karma, in cui il regista riesce non solo a invertire i ruoli recitativi dei due protagonisti, ma anche a costruire una sceneggiatura incalzante e ben congeniata, per nulla banale, che sorprende per la naturalezza, l’ilarità e l’intelligenza dei dialoghi. Giacomo (Fabio De Luigi) è l’erede un po’ infantile e sui generis di una famiglia di industriali. Suo padre si è suicidato quando aveva quattro anni e lui, continuamente impegnato con le sue stramberie, finisce per consultare un esoterista francese (un divertente cameo di Philippe Leroy), che gli indica l’uomo in cui si è reincarnato suo padre: tale Mario Pitagora (Elio Germano). In realtà il tizio è tutt’altro che spirituale, ma piuttosto interessato a ciò che significhi avere un “figlio” così benestante. Per lo meno all’inizio. La frequentazione forzata tra i due, infatti, porterà entrambi a riconsiderare il loro modo di affrontare la vita. Partendo dal karma del titolo, il film di Edoardo Falcone si avventura alla scoperta di come davvero influiscano su noi, e chi ci sta intorno, le scelte che facciamo. Si rivela quindi una commedia teneramente umana, sulle dipendenze reciproche tra gli esseri viventi, e sul bisogno di affetto e sostegno ricambiati.I due protagonisti sono entrambi molto bravi e credibili. Fabio De Luigi finalmente è alle prese con un ruolo diverso da quelli da lui in genere interpretati: se infatti Elio Germano è capace di recitare brillantemente qualunque cosa, De Luigi riesce perfettamente a contenere la sua comicità sottile e dirompente per una recitazione pacata e tenera, che non scivola mai nella macchietta ma, anzi, conferisce un dolce spessore al suo personaggio altrimenti etichettabile come stupidotto bidimensionale. Ottime anche le prove di Stefania Sandrelli, la madre svampita e romantica di Giacomo; Eros Pagni, suo padre in seconde nozze; Isabella Ragonese, sorellastra e figura femminile dai positivi risvolti, artefice, insieme all’impostore Pitagora, della crescita e rinascita di Giacomo. Si ride di gusto, con garbo e intelligenza, per battute geniali e stralunate situazioni, e si riflette anche: così che il finale a lieto fine non ci sembra più scontato ma giusto, poiché letto alla luce della comprensione delle debolezze del genere umano e di chi cerca, comunque e nonostante tutto, di “cavarsela”.