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Passeri

17/02/2017 12:00

Vincenzo Trapanese

Recensione Film,

Passeri

Il regista Rúnar Rúnarsson mostra uno spaccato duro della realtà islandese, quella meno nota

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Il giovane Ari, ragazzo islandese, si trova all’improvviso a trasferirsi dalla capitale Reykjavík a un piccolo villaggio di pescatori con il padre e la nonna. Il passaggio nella piccola comunità sarà brusco e dovrà scontrarsi coi suoi amici cresciuti e diventati degli adolescenti dediti all’alcool e alla violenza ma riuscirà comunque a trovare degli spiragli di bellezza che lo aiuteranno ad accettare la sua nuova dimensione e affrontare il passaggio da ragazzo a uomo.


Rúnar Rúnarsson, regista e produttore cinematografico pluripremiato (Volcano, 2011; The Last Farm, 2004) dirige Passeri: una storia cruda, dove non mancano scene forti che raccontano la triste realtà di un piccolo villaggio abbandonato. Tra splendidi passaggi naturali si svolgono le storie di personaggi che soffrono la desolazione che li circonda e si imbarbariscono con l’alcool e le droghe. Un esempio evidente è il padre di Ari, disoccupato e perennemente sbronzo, che passa la maggior parte del tempo con compagnie di dubbio gusto. Gli unici spiragli di luce per il ragazzo sono la nonna materna, dolce e protettiva, e Lara, amica di infanzia che naturalmente farà invaghire il giovane protagonista.


Passeri scorre lento e pervade un senso di angoscia e di tristezza. Ci ricorda quanto può essere duro per un adolescente sentirsi fuori posto. In alcuni piccoli momenti poetici il giovane Ari tenta di fuggire dal disagio che lo circonda sfruttando le sue angeliche doti canore in scenari tutt’altro che convenzionali come la fabbrica di lavorazione del pesce. La fotografia è anonima, troppo pulita e minimale persino per i bellissimi panorami dell’Islanda. Il regista Rúnar Rúnarsson mostra uno spaccato duro di queste realtà locali e dichiara di aver voluto fare un” film che si stacca sia dalla vita bella e luminosa delle produzioni hollywoodiane sia dai film d’essai che dipingono la vita come un inferno”. L’intento è lodevole ma non perfettamente riuscito: la storia del ragazzo che dalla città si sposta nella provincia (villaggio o paese che sia) è stata già vista e letta milioni di volte. Non ci sono elementi artistici sufficienti a celebrare “la bellezza nel marcio”; rimane solo un senso di tristezza gratuita.


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