Alex e Scarlett sono una coppia di fidanzati in viaggio per le strade americane con destinazione Los Angeles. Lei è vittima di gravi problemi di salute che si acuiscono nei pressi di una piccola cittadina nella quale i due sono costretti a fermarsi per la notte. La partenza prevista per il giorno seguente viene quindi rinviata quando Scarlett comincia a soffrire di indicibili dolori che si palesano quanto più lei si allontana dal suddetto luogo. E quando la ragazza una mattina scompare misteriosamente senza lasciare traccia, Alex comincia a indagare su un losco figuro incappucciato che sembrava spiarli fin dal loro arrivo. A quasi vent'anni di distanza dal primo lungometraggio Bongwater (1998), Richard Sears torna dietro la macchina da presa per dirigere un thriller psicologico dalle forti ispirazioni lynchiane, cercando di sopperire al basso budget con una narrazione sempre pronta a stupire con colpi di scena e inaspettati tradimenti. Bottom of the World è un'operazione che, però, convince solo parzialmente: i risvolti di sceneggiatura non appaiono sempre convincenti e denotano alcune forzature non sempre logiche, soprattutto nei venti minuti finali, in cui gli eventi della parte iniziale assumono una nuova ottica tramite forzature poco plausibili, pur contestualizzate in un'ambientazione mystery/fantastica. La vicenda vive il suo momento migliore nel cliffhanger di metà visione, in cui le diverse realtà finiscono per fondersi nell'incubo a occhi aperti vissuto dal giovane protagonista, vero e proprio "straniero in terra straniera" della sua stessa esistenza, sospesa tra vuoti di memoria e possibili deliri onirici. Ne esce un'estenuante ricerca della verità e della realtà che, pur offrendo alcuni buoni spunti e soluzioni, latita di coerenza. Risvolti non del tutto chiariti restano allo spettatore anche dopo i titoli di coda; dubbi più fastidiosi che appaganti. La messa in scena scarna e il cast limitato, nel quale sono però notevoli le interpretazioni di una sensuale Jena Malone (già vista nella saga di Hunger Games e in The Neon Demon) e del "predicatore" Ted Levine, mostrano tutti i limiti produttivi degli ottanta minuti di visione di cui, pur con qualche buon momento, non si sentiva troppo la mancanza.