Prende spunto dal poema Urlo di Allen Ginsberg questo particolare progetto sperimentale che segna l'esordio alla regia del giovane regista bergamasco Stefano Testa. «La benedetta risata autentica nel fiume! L'hanno vista tutti! gli occhi selvatici! le benedette grida! Hanno dato l'addio! Sono saltati dal tetto! nella solitudine! facendo ciao! portando fiori! Giù nel fiume! nella strada!». L'unicità dell'operazione, che si inserisce nel filone di film collage (sottogenere che negli ultimi anni ha visto impegnati anche nomi altisonanti), è che la maggior parte del minutaggio è costituito da filmini amatoriali in vhs trovati in una discarica nei pressi di Bergamo e i cui autori rimangono tuttora senza nome. Il cineasta decide di intersecare queste vere e proprie pagine di varia vita con il racconto, in forma di dialogo autobiografico a una sola voce, del sessantenne Roberto il quale, sorta di elemento collegante i diversi capitoli tematici (undici, per l'esattezza) della visione, si mette a nudo ripercorrendo i passaggi esistenziali della propria esistenza. Moloch, va da sé, è un puro film di montaggio, capace nella sua organicità di tracciare uno sguardo sincero a un tempo passato attraverso le testimonianze involontarie di cameraman improvvisati, semplici turisti in un paese straniero o individui pronti a sostenere e a immortalare amici e parenti in situazioni di festa, concerti o eventi sportivi. E poi ancora matrimoni, raduni di alpini, celebrazioni religiose che si ibridano abbastanza armoniosamente al percorso a posteriori del vero e proprio "protagonista": se il costrutto non è privo di una certa solidità é pur vero che gli ottanta minuti possano risultare stucchevoli se non noiosi nella mera riproposizione di filmati in serie, restringendo e non di poco il potenziale pubblico di riferimento. I limiti di un genere che il regista prova a smuovere con improvvisi sussulti, come nel breve tassello in cui è proposto addirittura un video hard privato (la cui qualità d'immagine mette comunque al sicuro i due amanti) o nell'epilogo con immagini di un'alluvione, senza però elevare il tutto da un'essenza elitaria.