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Bar Sport

30/03/2017 10:00

Lorenzo Pedrazzi

Recensione Film,

Bar Sport

Storia del Bar Sport, di piccole avventure, e dei suoi clienti fissi

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Storia del Bar Sport, luogo di piccole quanto incredibili avventure, e dei suoi clienti fissi: c'è il tennico, presunto esperto di tutto lo scibile umano; il playboy, con le sue innumerevoli (e ancor più presunte) relazioni sessuali; le due anziane signore, che occupano sempre lo stesso tavolino, bevendo tè e discutendo gli argomenti più macabri; il cinno, instancabile ragazzino che macina chilometri con la sua bicicletta; il barista, consumato burattinaio di cappuccini e aperitivi; la seducente cassiera, che incanta lo sguardo degli avventori; la Luisona, onorabile decana delle paste; e molti altri.


Tre decenni d'indubitabili successi editoriali, una riserva di storie e idee che hanno trovato riscontro anche oltre confine, e tutto questo senza che il cinema vi abbia (quasi) mai attinto: in effetti, il realismo magico del miglior Stefano Benni non è facilmente traducibile sul grande schermo, poiché il suo umorismo fantasioso e la sua visionarietà rarefatta rispondono alle logiche imprevedibili dell'invenzione letteraria, che mal si accordano con una messa in scena banalmente scolastica. L'adattamento cinematografico di Bar Sport compie proprio questo errore. Non basta una trasposizione letterale delle idee di Benni per riprodurne il fascino e la comicità: il film di Massimo Martelli, con un occhio al cinema di Jean-Pierre Jeunet, sfrutta gli effetti visivi (di buona fattura) per valorizzare gli aspetti più surreali dell'immaginifico mondo benniano, ma una rappresentazione così esplicita finisce per mostrare troppo senza suggerire nulla, ovvero senza costruire quel clima sognante e poetico che irretirebbe lo sguardo degli spettatori odierni, peraltro poco disposti ad abbracciare certe atmosfere nostalgiche. Fra momenti di umorismo altalenante e alcune digressioni nell'animazione - più riuscite del film stesso - Bar Sport scarseggia in ritmo e tempi comici, rivelandosi allora come un prodotto concepito in ritardo, e inadeguato a imprimere quella svolta surreale che farebbe bene alla commedia italiana (anche perché tali sfumature appaiono innaturali, forzate). Nemmeno gli interpreti sono di grande aiuto: la squadra di bravi caratteristi è infatti sprecata (Giuseppe Battiston, Antonio Catania) o semplicemente fuori parte (Claudio Bisio), e appiattisce un cast di personaggi che su carta vincono in personalità, definizione e magnetismo. Sorte che tocca, spiace dirlo, anche alla leggendaria Luisona.


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