Una voce infantile ci spiega che il collasso climatico globale è arrivato, e che è anche stato superato grazie alla collaborazione internazionale fra scienziati di tutto il mondo che hanno creato il Dutch Boy, una complessa rete di satelliti per il controllo delle condizioni meteorologiche. Il merito di questa creazione e collaudo è ovviamente statunitense: il genio è l’inaffidabile e impulsivo Jake Lawson (Gerard Butler); mentre suo fratello Max (Jim Sturges), preciso e saccente, ha il compito di controllare che tutto vada per il verso giusto. E la sua prima azione è proprio quella di licenziare il fratello maggiore. Ma a complicare le cose, tra i due consanguinei litiganti, ci si mette un guasto al sistema di controllo climatico. Brevi istanti, e quello che appare come un disaster movie sembra trasformarsi in una spy story, con qualche dialogo da commedia romantica, che ci fa sperare che Geostorm non sia il film prevedibile e stereotipato che appare. Né che sia il clone rivisitato di Armageddon. Ma è un’illusione. In bilico tra un film di genere e un godibile e paradossale B movie, Geostorm rimane in sospeso. Peccato, perché la ragazza brasiliana in bikini che fugge dal raggio congelatore dalla spiaggia fino alle strade trafficate, poteva farlo entrare nell’Olimpo degli Sharknado. Il regista Dean Devlin è al suo primo lungometraggio, ma vanta un passato da braccio destro del padre di tutti i catastrofici: Roland Emmerich. Il cosceneggiatore di Geostorm, Paul Guyot, è stato parte del team che ha portato sul piccolo schermo proprio The Librarians e Leverage, a firma di Dean Devlin. Non è originalissima l'idea di un sistema spaziale che controlli l'atmosfera terrestre, già alla base del film d'esordio di Roland Emmerich Il principio dell'Arca di Noè (1984). Né Gerard Butler - dai tempi del glorioso 300 imbolsito ma fiero - né mostri (quasi) sacri come Andy Garcia e Ed Harris, qui ridotti a comparse, bastano per dare solidità a un film che non ha il coraggio di giocare fino in fondo la componente ludica e catastrofica, restando nell’ambiguità del dimenticabile.