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Quello che so di lei

06/04/2017 10:00

Riccardo Bassetti

Recensione Film,

Quello che so di lei

Il quinto film di Martin Provost: la storia di due donne comuni, martoriate da vite di rinuncia

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Presentato fuori concorso alla 67ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, Quello che so di lei (Sage femme) ha aperto a Roma la settima edizione del Festival Rendez-Vous, rassegna cinematografica dedicata al nuovissimo cinema d'Oltralpe che fino al 7 maggio offrirà al pubblico italiano la possibilità di seguire incontri speciali, anteprime e più di 30 film.


Più vicina alla fine della sua carriera che all'inizio, Claire (Catherine Frot) è un'ostetrica dalle mani delicate che nella vita si è sempre arrangiata. Un giorno riceve una telefonata, una voce che riaffiora dal passato: Beatrice Sobolevski (Chaterine Deneuve), la stravagante amante del defunto padre. Beatrice è una donna che crede ancora nelle virtù del piacere: beve, mangia carne rossa e gioca d'azzardo. Sono passati trent'anni dal loro ultimo incontro e le due donne sono molto diverse, ma impareranno a capire l'una la forza dell'altra, finendo per colmare il vuoto delle loro esistenze.


Quinto lungometraggio per Martin Provost che, dopo aver parlato della relazione tra due scrittrici in Violette (2013), decide di posare il suo sguardo sul delicato rapporto tra due donne comuni, martoriate da vite di rinuncia. Un film che si interroga sul concetto stesso di libertà; Beatrice la proclama, ma è in fondo una donna in fuga dai legami, da quell'amore giovane in Boulevard Saint-Germain che l'ha tenuta con le «valigie pronte per tutta la vita». Sembra scandito da impercettibili movimenti dell'una verso l'altra il rapporto tra i personaggi interpretati dalle due Catherine, un rapporto tenero e sfiancante: Béatrice e Claire vivono la vita seguendo sistemi morali sfasati rispetto al mondo in cui vivono, trovandosi spesso a dover lottare con sé stesse prima ancora che con l'altra. Béatrice proviene dal passato di Claire che, non a caso, non riesce a confrontarsi con l'avanzare del moderno, temendolo come la tecnologia dietro la Nuova Fabbrica di Bambini, nuovo reparto ospedaliero in cui si rifiuta di andare a lavorare. Il continuo ritorno alla rigogliosa campagna francese dove Claire ha l'orto (e l'amante, Olivier Gourmet), non è solo un caso, ma un vero e proprio indizio sulla primordialità del cambiamento che guiderà le due donne verso l'epilogo. Il film di Provost è un racconto che gioca sui contrasti e la fotografia di Yves Cape (che già ha curato quella di Holy Motors nel 2012) ne amplifica la portata sottolineando il continuo distacco tra città e campagna, corsia d'ospedale e foresta, responsabilità e fuga d'amore intervallato dal soffice tappeto musicale di cantautorato francese, la voce sognante di Serge Reggiani su tutte. Quello che so di lei riesce a inquadrare l'alienazione sentimentale di due donne sole, inscenando una sommessa riflessione sullo scorrere del tempo e sul profondo equilibrio tra nascite e morti.


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