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Atomica bionda

30/05/2018 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film,

Atomica bionda

David Leitch sa come coccolare gli occhi dello spettatore

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Avercene come David Leitch. Nel 1995 inizia il suo lavoro da stuntman partecipando a grosse produzioni come Fight Club (era la controfigura di Brad Pitt), la trilogia di Matrix, 300 di Zack Snyder. Dopo una carriera ventennale, nel 2014 fa il grande passo e dirige insieme a Chad Stahelski (anche lui stuntman: i due hanno collaborato in molti film, da V per Vendetta a Logan - The Wolverine) quel piccolo miracolo di John Wick, anche se Leitch non risulta accreditato come regista. Siamo tutti concordi che la storia non sia né originale né tantomeno complessa – Keanu Reeves, ex-sicario, cerca vendetta contro chi gli ha ammazzato il cane – ma è lampante che le scene d’azione siano girate da qualcuno che non solo è conscio di ciò che fa, ma lo ama visceralmente. All’interno del panorama action moderno, azzardando un paragone che rasenta l’eresia, si può dire che John Wick sia il film americano che maggiormente suona come una risposta a quel capolavoro di The Raid - Redenzione. Trama risibile, ritmo serratissimo, azione martellante, combattimenti infiniti e soprattutto fisici, reali, al punto da percepire il dolore e la fatica dei protagonisti. Poi, mentre Stahelski e Leitch stavano pianificando il sequel, quest’ultimo venne ingaggiato per un nuovo progetto: la trasposizione della spy-story a fumetti The Coldest City.


Alla vigilia della caduta del muro di Berlino, in una città spaccata in due, ritratta come se fosse un futuro post-apocalittico, la spia inglese Lorraine Broughton cerca di porre fine alla Guerra Fredda: deve recuperare una lista che contine i nomi di tutti gli agenti segreti occidentali sotto copertura prima che cada nelle mani sbagliate. Sulla carta la trama è semplice, ma nella trasposizione sullo schermo la narrazione si complica non poco, appesantita da troppi personaggi, doppi-giochi e situazioni che non sempre sono chiarissime e spesso rallentano troppo il ritmo. Di sicuro una maggior linearità e lo sfoltimento di alcune sottotrame (oltre che qualche decina di minuti nel montaggio finale) avrebbero giovato: perché quando Atomica Bionda si libera da queste sovrastrutture e mostra la sua vera natura è impossibile non rimanerne ammaliati.


Innanzitutto l’estetica è un’evoluzione di John Wick, infarcita di luci al neon e colori fluo ipersaturi che donano un’aurea alla Nicholas Refn rivisitato in chiave tamarra e un po’ punk. Indubbio che David Leitch sappia come coccolare gli occhi dello spettatore: lo dimostra la prima scena, dove musica e immagini culmino in un’inquadratura di Charlize Theron con il corpo tumefatto e sofferente, mentre osserva una Londra freddissima che si stende al di là di una gigantesca vetrata. E qui arriviamo proprio a Charlize. Che fosse una badass girl lo aveva già dimostrato con la sua Furiosa, ma qui si addentra in un territorio che è stato esplorato solo da Milla Jovovich nella saga di Resident Evil: una completa, perfetta, totale fusione tra attrice e atleta. In più dell’ucraina, Charlize ha a suo favore il fatto di essere un’attrice con la A maiuscola.


Inutile negarlo: Atomica Bionda funziona per (e soprattutto in funzione di) le sue scene d’azione, che mediamente sono pianisequenza di almeno 8 minuti cadauno in cui Charlize picchia con una grazia e un’eleganza tale da far apparire queste risse simili a balletti di danza classica: la macchina da presa ne diviene parte integrante, riportando il concetto di “scena d’azione” su di un piano molto più fisico (per non dire umano) rispetto alle orge digitali che siamo abituati a vedere nei cinecomics. La cosa che più colpisce è proprio il realismo, unito al fatto inequivocabile che sia proprio l’attrice a compiere la maggior parte degli stunt, senza avere bisogno di una controfigura o di CGI correttiva. Charlize Theron riesce a interpetare una donna a tutto tondo, al contempo letale e fragile, decisa e insicura, che non ha paura dei propri vizi (beve, fuma, seduce e fa sesso) né di mostrarsi vulnerabile (la scena iniziale nella vasca da bagno piena di ghiaccio). Curioso notare come, però, in un era hollywoodiana che sbandiera sempre più il girl-power e infarcisce le sue pellicole con eroine più o meno toste, il personaggio di Lorraine Broughton abbia suscitato un clamore mediatico pressoché nullo rispetto alla tanto osannata Wonder Woman uscita al cinema appena tre mesi prima di Atomica Bionda.


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