Simon è un quasi trentenne docente di biologia che vive con la madre malata di Alzheimer e frequenta siti online di aspiranti suicidi: il suo obiettivo infatti è quello di trovare vittime consenzienti, preferibilmente giovani donne, il cui desiderio di morire gli permetta di dissanguarle tramite apposite apparecchiature mediche. L'uomo infatti è convinto di essere un vampiro e di aver bisogno di sangue per sopravvivere. Non un horror ma un dramma psicologico che non riesce mai a consolidare le sue pur alte ambizioni di partenza. Vampire, esordio Oltreoceano dell'apprezzato regista nipponico Shunji Iwai, è un'operazione smaccatamente autoriale. Dietro una superficie costruita su significati degni di approfondimento, nasconde un vuoto narrativo e di genere a tratti insostenibile nelle due ore di visione. L'eccessiva lunghezza rende oltremisura lenta una vicenda che si spegne già dopo la conclusione del prologo, in una struttura narrativa incapace di suscitare la necessaria tensione emotiva e che si perde in un fastidioso autocompiacimento registico fatto di riprese mobili e di improbabili scene madri: in primis quelle riguardanti la figura secondaria della madre malata di Alzheimer e reclusa in casa tramite un'imbracatura sorretta da palloncini. Non vi è uno scavo psicologico adeguato che indaghi nella mente contorta del protagonista, insospettabile e platonico serial killer di giovani vittime sacrificali, pronte come nulla fosse a passare a miglior vita. Nemmeno il parziale colpo di scena finale, con una sorta di legge del contrappasso a segnare il destino dei personaggi, possiede il necessario impatto per suscitare un qualche sussulto. L'originalità apparente della sceneggiatura, ricca di potenziali sfumature purtroppo inespresse, si perde in un ritrito mare di banalità assortite; tanto che l'iniziale senso di disagio filmico assume ben presto connotati reali nella lunga attesa dei titoli di coda.