Elia Venezia è uno stimato analista, leggermente cinico, abitudinario, colto e soprattutto molto goloso. Questa mania per i dolci lo costringe a iscriversi in palestra, per non rischiare che le sue condizioni di salute possano compromettersi. Spronato persino dalla ex moglie (Carla Signoris), con cui è dirimpettaio, Elia comincia a fare attività fisica. L’esercizio forzato lo porterà a scontrarsi con Claudia (Verònica Echegui), una bella personal trainer, che gli farà riscoprire la bellezza della vita tra una flessione e un piegamento. Lasciati andare è il terzo lungometraggio di Francesco Amato che, tra qualche corto e parecchi documentari, torna nelle sale dopo ben cinque anni. Porta sugli schermi una commedia degli equivoci basata sulla psicanalisi, affidandosi alla bravura di Toni Servillo – che raramente vediamo interpretare ruoli divertenti e scanzonati al cinema – e all’eclettismo di Carla Signoris. Questa strana coppia confeziona un film irriverente che ruota attorno al ruolo dell’analista, apparentemente impeccabile e super partes, ma nella vita privata schiavo di parecchie contraddizioni. Peccatucci di egoismo, al limite del cinismo più puro, scatenano gag attinenti all’irrealtà . In questo teatro dell’assurdo, assistiamo a divertenti pantomime che snocciolano il luogo comune del belloccio che si iscrive in palestra necessariamente con l’auspicio di fare conquiste. Stavolta, viene sostituito dall’uomo in crisi di mezza età che sceglie – forzatamente – l’attività fisica per evitare il baratro. Allora, grazie a una sequela di meccanismi ribaltati, il risultato è una vicenda godibile e divertente che trae spunto dalle sfumature dei vari interpreti: la prosopopea di Elia viene smontata passo dopo passo dalla semplicità bonaria di Claudia che, essendo straniera, non coglie sempre perfettamente il sarcasmo e l’ironia italiana. Un misunderstanding perenne tra due opposti che finiscono per attrarsi, cercando di completarsi vicendevolmente e mettendo sul piatto le loro criticità reciproche. Sotto questo aspetto il film è una citazione (probabilmente non voluta) a Maledetto il giorno che t’ho incontrato di Carlo Verdone, con all'interno anche un pizzico di Woody Allen: l’annientamento delle certezze lascia spazio all’imprevedibile, che apre uno spiraglio alla farsa scenica. Si ride per via del costante sovvertimento degli equilibri, in un sempiterno transfert, che si annida sullo sfondo della vicenda, tra lo psicologo e i suoi pazienti. Un merito anche agli attori non protagonisti - in particolare Luca Marinelli, nei panni del delinquentello balbuziente di borgata - che accentuano il carattere sferzante del film.