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Civiltà perduta

19/06/2017 11:00

Riccardo Bassetti

Recensione Film,

Civiltà perduta

Il grande potenziale inespresso della Civiltá perduta

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È l'inizio del Novecento quando la Royal Geographical Society recluta il maggiore Percy Fawcett (Charlie Hunnam) per mappare gli inesplorati territori della foresta Amazzonica, al confine tra Bolivia e Brasile. Fawcett lascia moglie e figli in patria e, accompagnato dai fidati Costin (Robert Pattinson) e Manley, si inoltra nel cuore della foresta Amazzonica, trovando le tracce di un'antica civiltà. Inizia così la ricerca della città perduta di Z tra i pericolosi anfratti della foresta Amazzonica, ripetendo la spedizione anche con il navigato esploratore Murray (A.Macfadyen), finché l'arciduca austriaco Francesco Ferdinando non viene assassinato, la guerra si abbatte sull'Europa come una maledizione e a Fawcett, ormai piagato nel fisico e assillato nella mente, non resta che un'ultima chance di trovare la città di Z: organizzare una spedizione assieme al figlio ormai cresciuto Jack (Tom Holland).


Tratto da una storia vera, la stessa che ispirò la stesura de Il mondo perduto di Sir Arthur Conan Doyle, e basato sul romanzo Z la città perduta di David Grann, l'ultimo lavoro di James Gray si discosta dalla tensione de I padroni della notte o dal romanticismo di Two lovers, plasmando un film di viaggio dove al centro della narrazione non troviamo l'azione, bensì l'aspirazione del protagonista. Questa sottotraccia emotiva trascina dunque lo spettatore attraverso le numerose declinazioni geografiche e temporali della narrazione, offrendo l'impressione di un grande racconto epico sull'esplorazione di mondi nuovi alla maniera di Joseph Conrad, Rudyard Kipling o Jack London, senza però coinvolgere del tutto.


I tre personaggi "troppo inglesi per la giungla” si aggirano attraverso il fogliame brasiliano, i salotti inglesi e le trincee tedesche senza troppa convinzione, dando spesso l'impressione di non appartenere a nessuno di quei luoghi, ma di essere solo vittima di scelte drammaturgiche talvolta poco armoniose con il resto degli accadimenti. La pellicola di Gray ha il grande merito di portare sullo schermo un'epoca trapassata, eppure di facile comunione sentimentale. C'è un'Inghilterra in bilico sull'orlo del cambiamento sociale, sotto le spinte delle grandi rivoluzioni morali del secolo scorso; c'è la guerra di trincea; la convinzione della supremazia della razza bianca contrapposta alle grandi esplorazioni che porteranno l'uomo bianco faccia a faccia con l'uomo nero, facendo vacillare l'intero sistema di valori ecclesiastico e, infine, scalzando la Gran Bretagna dal centro del mappamondo geopolitico in cui si era posizionata. L'eccelsa fotografia dell'iraniano Darius Khondji, forte delle collaborazioni con registi del calibro di Danny Boyle, Woody Allen, David Fincher e Roman Polanski, non riesce però a bilanciare l'assenza di azione e dialoghi all'altezza. Così Civiltà perduta è emozionante dal punto di vista delle immagini, ma talvolta bloccato a livello narrativo dalla sua stessa struttura. Un film che unisce temi come dramma familiare, viaggio, storia moderna e aspirazione in un calderone di grande impatto visivo, ma che finisce per non dare giusto risalto ai singoli temi. Stupore e insofferenza per un film dal grande potenziale inespresso.


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