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Emoji: Accendi le emozioni

28/09/2017 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film,

Emoji: Accendi le emozioni

Il viaggio dell'emoji Gene dentro uno smartphone

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Dopo le proiezioni riservate alla stampa, poco prima della sua uscita ufficiale sugli schermi statunitensi avvenuta il 4 Luglio, storicamente uno dei weekend più “caldi” dell’anno per il botteghino americano, l’indice di gradimento per Emoji: Accendi le emozioni sul sito RottenTomatoes.com si aggirava intorno allo 0%. Un apprezzamento che dopo il debutto è cresciuto, se così possiamo dire, sino a stabilizzarsi intorno al 10%. Un giudizio troppo severo per un cartone animato in fondo innocuo? Forse, ma resta il fatto che Emoji: Accendi le emozioni è realmente un film bruttino, insipido e superficiale, oltre a insinuare costantemente nello spettatore (nell’adulto più che nel bambino) un costante senso di deja’vu.


Dopo aver combinato un disastro nella sala controllo (in pratica la tastiera del nostro smarthphone) l’emoji Gene esce dalla App Messaggistica in cui è vissuto sino a quel momento e vaga per il cellulare deciso a farsi correggere per poter riottenere il proprio lavoro. Tutto questo mentre, passando di app in app, il cellulare da segni di malfunzionamento e la formattazione incombe su di loro.


Un plot classico, che declina il viaggio dell’eroe all’interno di un cellulare, un’idea che forse sulla carta avrebbe anche potuto essere vagamente interessante ma che viene inscenata nel più didascalico e piatto modo possibile. Ora rileggete la prima frase della trama sostituendo "emoji Gene" con "Gioia", "App Messaggistica" con "centro di controllo delle emozioni" e "cellulare" con "cervello": di base Emoji: Accendi le emozioni è la versione “for dummies” di Inside Out; ne ricalca pedissequamente la storia, mettendo, al posto della mente e delle emozioni, uno smarthphone e delle app. Dove c’era il baratro della memoria, qui c’è il cestino; dove c’erano le isole della personalità che si disintegravano qui ci sono le app che si cancellano. In sé questa frivolezza nell’approccio potrebbe anche non essere un male, ma lo diventa nel momento in cui si capisce che alla base del film non vi è nemmeno un’idea valida e nessun personaggio che si spinga oltre lo stereotipo, appiattendo una storia che già nasce banale e apatica.


Ma il parallelismo più interessante (o agghiacciante, giudicate voi) è il contesto esterno. Mentre in Inside Out vediamo l’undicenne Riley trasformarsi in un involucro vuoto, prosciugata da qualsiasi sentimento mano a mano che i danni riportati nella sua mente si fanno più irreparabili (alzi la mano chi non ha avvertito un groppo in gola nella scena della stazione degli autobus!), in Emoji: Accendi le emozioni abbiamo Alex, adolescente impacciato, le cui interazioni sociali sembrano essere dettate esclusivamente dall’uso di emoji. Nel momento in cui queste non funzionano più correttamente, il ragazzo sembra incapace di avere rapporti con chiunque. Sicuramente è un’esagerazione di trama, ma il fatto che venga anche solo accennato questo concetto d’incapacità di relazionarsi con il mondo reale mette i brividi e per un fugace momento sembra di assistere alla versione animata dell’episodio Caduta libera di Black Mirror.


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