Il nuovo film del regista australiano Paul Currie racconta la storia di Dylan Branson (Michiel Huisman) controllore del traffico aereo di New York, che basa il suo successo sulla capacità di vedere schemi e pattern invisibili a chiunque altro. La sua vita subirà una deviazione permanente in seguito a una strana congiunzione astrale che gli porterà l’amore, ma anche pericoli e turbamenti fino ad un passo dalla morte. Paul Currie cerca di creare un film sul tempo, sul destino, sull'amore ma quel che gli riesce è un thriller che fatica a tenere l’attenzione dello spettatore. Un film ripetitivo che segue schemi fumosi e porta a un finale telefonato e senza emozioni. I profili dei tre personaggi principali — Dylan, Sarah e Jonas (Sam Reid, ex di Sarah e “villain” del film) —, nonostante le buone interpretazioni, rimangono piatti e poco approfonditi; le dinamiche dei loro incontri/scontri sono innaturali e poco credibili. I dialoghi coinvolgono poco, anche a causa di insistenti campo/contro campo in primissimo piano, che rompono quasi la sospensione dell’incredulità. Soprattutto il personaggio di Jonas è introdotto in maniera frettolosa e approssimativa, che ci impedisce di conoscerlo, capirlo e leggere le motivazioni nelle sue azioni. La parte più tesa del film, quella più thriller, si rivela essere quella iniziale: quando il personaggio di Dylan viene introdotto attraverso la descrizione del suo difficilissimo lavoro di controllore di volo (soprattutto in un aeroporto enorme come il JFK di New York). La parte centrale, invece, in cui il protagonista indaga e cerca di capire il mistero chiave del film, si allunga in maniera esagerata e ripetitiva fino al finale senza sorprese. Insomma 2:22 - Il destino è già scritto è un film che raggiunge l’apice della tensione dopo 20 minuti e poi si sgonfia, non riuscendo più a emozionare, intrigare, sorprendere. E allo spettatore non resta che aspettare i titoli di coda.