Assassinio sull’Orient Express è in assoluto uno dei più celebri titoli sfornati dall’instancabile giallista britannica Agatha Christie. Pubblicato per la prima volta a puntate sul settimanale The Saturday Evening Post nell’estate del 1933, trasposto già tre volte per il piccolo e il grande schermo e adattato persino a videogioco nel 2006, il nuovo film di e con Kenneth Branagh non si può di certo definite un’idea originale. Eppure, in un mercato cinematografico saturato da orge digitali e cinecomics fracassoni, è realmente una ventata d’aria fresca. L’investigatore Hercule Poirot (che qui ha le fattezze e i baffi di Kenneth Branagh) sale a bordo dell’Orient Express da Istambul a Calais per tornare nella sua amata Inghilterra. Suo malgrado, durante il viaggio, si ritrova a dover indagare sull’omicio di Samuel Ratchett (Johnny Depp), uomo d’affari che si è fatto più di un nemico a causa delle sue molteplici truffe. Come se non bastasse una valanga costringe il treno a fermarsi e, in attesa dei soccorsi, mano a mano che le ore passano, Poirot si convince sempre più che l’assassino si nasconda tra i passeggeri. Il film ha un'impostanzione a dir poco classica, che si adatta e aderisce perfettamente alla storia scritta più di 80 anni fa da Agatha Christie. Tutto è ordinato e impeccabile come una tavola della carrozza ristorante dell’Orient Express, apparecchiata seguendo le meticolose regole del bon ton per non scontentare i suoi facoltosi passeggeri. Da dietro la macchina da presa Kenneth Branagh orchestra la messa in scena come se fosse una piece teatrale fittissima di dialoghi, narrando la storia in modo ritmato eppure senza fretta. Un film dove di azione vera ce n’è ben poca, relegata in una sequenza prossima al finale, con il risultato da creare un contrasto di tono tanto brusco da sembrare fuori luogo. La storia avanza grazie alle parole, che siano confessioni appena sussurrate o deduzioni dette ad alta voce, e a ogni dialogo corrisponde una reazione; un maccanismo ad orologeria che porta Poirot sempre più vicino alla soluzione dell’enigma. E la metafora teatrale non è un caso limitato alla sola messa in scena: se si ha la fortuna di poter assistere a una proiezione in pellicola 70mm del film – è il formato scelto dal regista per girare, esattamente come pochi mesi fa aveva fatto Christopher Nolan con il suo Dunkirk – l’impatto visivo e il “calore” tramesso da questo formato amplificano ancor di più la sensazione di trovarsi a tatro. Gli ambienti di legno laccato del treno, complice un ottimo lavoro della fotogarfia, sembrano emanare il gradevole profumo di qualcosa d’antico e prezioso. In questo tipo di film il cast e la recitazione sono fondamentali per ottenerne la buona riuscita, e per questo Kenneth Branagh si circonda di attori di prim’ordine ognuno dei quali – alcuni anche solo grazie a poche battute – riescono ad infondere nei propri personaggi una profondità che nei prodotti moderni è difficile trovare. Quattro nominati all’Oscar come miglior attore – Willem Dafoe, Johnny Depp, Michelle Pfeiffer e lo stesso Kenneth Branagh – e due vincitrici – Penelope Cruz e Judi Dench – sono il vero effetto speciale che supplisce a catastrofiche e spettacolari scene d’azione. Sicuramente un film controcorrente rispetto alla media delle pellicole moderne, ma forse proprio per questo meritevole di una visione: è un film che racconta una storia, forse sì vecchia, ma non per questo meno affascinante e intricata.