Un eterogeneo gruppo di disillusi - che comprende Toni, un portuale di Marghera; Pepe, un insegnante disoccupato; Bauer, un nostalgico ricercatore universitario; e Ramon, un uomo appena uscito di galera - decide di rapire l'importante ministro Gerardi e, con i soldi del riscatto, risarcire la vedova di un collega di Toni, morto sul lavoro. Ma l'inesperienza non gioca certo a loro favore e, nel caos di un bagno turco, finiscono per rapire la persona sbagliata: il sottosegretario Stella. Coinvolta inavvertitamente anche Marilù, una giornalista televisiva, la banda decide di chiedere ugualmente un riscatto, e si rifugia in una località turistica della Valle d'Aosta. L'esasperazione sociale, politica e personale costringe i "soliti ignoti" a puntare su obiettivi ben più alti di una pentola di pasta e fagioli. Chiamare in causa il capolavoro di Mario Monicelli è forse sin troppo facile, ma non si può negare che in questi scalcagnati Figli delle stelle ci sia una sorta di retaggio, una discendenza che ha origine proprio da lì; o più in generale da quella memorabile fucina di "perdenti" che è la commedia all'italiana. Figli delle stelle non fa che arricchire questa galleria di personaggi sconfitti dalla vita, nel solco di una tradizione ben nota e molto reiterata che, però, qui ritrova freschezza grazie alle sfumature da crime comedy e al substrato ideologico dei protagonisti. Il regista Lucio Pellegrini sostiene che di ideologie non vi sia traccia. Ma questo è vero solo per la figura di Ramon, criminale romantico in lotta perenne con il potere, e per gli abitanti della cittadina valdostana che offre rifugio ai sequestratori: soprattutto in loro si nota il famigerato qualunquismo dell'italiano medio, la cui ribellione al giogo delle "alte sfere" non è guidata dall'idealismo ma solo da un sentimento di generico malumore, peraltro facile a riassorbirsi nel caso le circostanze lo richiedano. Diverso è invece il discorso per gli altri membri della banda, divisi fra nostalgie anacronistiche, tutela dei lavoratori e solidarietà con le minoranze; tutti consci che opporsi alle vessazioni del potere significa conseguire un obiettivo comune, per il bene collettivo e non individuale. Ovviamente i nostri protagonisti perdono già in partenza, e i loro modi non sono certo condivisibili, ma è arduo non simpatizzare con questi adorabili falliti di buon cuore, deliziosamente interpretati da un cast corale molto affiatato, brillante ed esperto nei tempi della commedia (in particolare, irresistibili Pierfrancesco Favino e Giuseppe Battiston, attori eclettici in grado di passare dal dramma all'umorismo senza soluzione di continuità ). La sceneggiatura, d'altro canto, rivela luci e ombre di un film che senza dubbio funziona sul versante comico (pur all'interno di un quadro drammatico, perché figlio dell'attualità socio-economica), ma che non è altrettanto ispirato sul piano narrativo, poiché parzialmente costruito, nella prima metà , su una struttura a flashback piuttosto maldestra e di fatto non così necessaria. L'impressione è quella del classico script cui avrebbe giovato un lavoro di pulitura finale (come fanno spesso le major hollywoodiane) per garantire maggiore comprensibilità e chiarezza sia nello svolgimento dell'azione, sia nella chiusura dell'intreccio, quando non tutti i fili paiono riannodarsi al meglio e nel pubblico emerge un'inopportuna sensazione di straniamento. Ma ciò non toglie che la strada da percorrere per la commedia sia questa, fatta di idee e non di vacuo macchiettismo, di gag frizzanti e non scurrili: sarà per lo humour a tratti piacevolmente surreale, sarà perché imbocca sentieri meno battuti nel panorama italiano, ma Figli delle stelle è comunque superiore alla media.