Claudia (Lucia Mascino), folgorata dal buon professore universitario Flavio (Thomas Trabacchi), poco dopo averlo conosciuto, gli giura amore eterno davanti a un piatto di spaghetti. Da quel momento in poi, per tutta la durata della loro relazione, inizierà a tormentarlo di continuo con stranezze, gelosie e richieste, svegliandolo nel cuore della notte oppure alle prime luci dell'alba, come farebbe un esperto torturatore di Guantanamo. Il pover'uomo, a cui nessuna colpa è imputabile, almeno dal punto di vista narrativo, dopo ben sette (eroici) anni non se la sente di continuare. Ma Claudia non accetta la fine della loro storia. Ne conseguono non solo ulteriori persecuzioni ossessive da parte della donna, ma anche un doppio incrocio di relazioni: una di Claudia con una giovane e bella studentessa (Valentina Bellè) e una di Flavio con l'algida e imperscrutabile Giorgia. Frammenti di filmati storici in bianco e nero della vita degli innamorati italiani, vengono affiancati alle vicissitudini, principalmente verbali, di Claudia e Flavio, come ad indicare una continuità romantica spazio temporale fra ieri e oggi. Con risultati piacevoli, almeno dal punto di vista estetico. Come d'altra parte lo è tutto il film: gradevole e ben girato. Il personaggio di Claudia, quarantenne dal carattere bizzoso e privo di mezze misure, vorrebbe, nelle intenzioni della regista Cristina Comencini ricalcare figure femminili di charlottiana memoria, romantiche e buffe, divertenti e fragili. Come la Margherita Buy di Maledetto il giorno che ti ho incontrato o la giovane Valeria Bruni Tedeschi ai tempi de Le persone normali non hanno niente di eccezionale: eroine incapaci di comprendere l'amore che svanisce senza una ragione. Ma in questo film invece, di ragioni ce ne sono fin troppe. Claudia, con le sue insistenze da adolescente fuori tempo e fuori luogo - calcata dalla recitazione sempre sopra le righe di Lucia Mascino - non ha l'ombra di quella mescolanza poetica di grazia e goffaggine delle sue antesignane, e rischia di contendersi il premio di personaggio femminile cinematografico più irritante dell'anno. Più che l'amore, è la protagonista femminile che non sa stare al mondo e la sua amica del cuore, Diana (Carlotta Natoli), per starle accanto, anche solo per il tempo di una pausa pranzo, deve assumersi il ruolo di psicoterapeuta. Impossibile entrare in empatia con le ossessioni esasperate di Claudia, se non dal punto di vista medico-diagnostico; e altrettanto difficile provare simpatia per quel circolo elitario di intellettuali che abitano appartamenti bohémien al centro di Roma, col parquet e le orchidee bianche alle finestre, ma trascorrono il fine settimana in campagna, fra campi di papaveri, lavanda e camomilla. Amori che non sanno stare al mondo è stato presentato al Festival di Locarno. Nasce dal libro omonimo, scritto dalla stessa regista e pubblicato nel 2013. Cristina Comencini è brava con la macchina da presa e ha il merito di cercare sempre di esplorare territori dimenticati (come fece con Lo Spazio Bianco) e indagare situazioni anticonvenzionali, con esiti più o meno felici. Ma questa volta il risultato è del tutto autoreferenziale, ambizioso nelle intenzioni, infarcito di rimandi e citazioni letterarie. Un film che si parla addosso, senza essere capace di creare il desiderio di ascoltarlo.