Due sotto il burqa è una divertentissima commedia che racconta con ironia e leggerezza l'islam e i suoi equivoci. Leila e Armand sono una coppia di studenti universitari; lui è francese e lei yemenita. Si amano e presto partiranno insieme per New York. Ma quando il fratello di lei, Mahmoud, torna dallo Yemen, dove ha aderito al radicalismo islamico, tutto si complica. A Leila viene impedito di vedere l'amato e così Armand trova il modo di incontrarla ugualmente travestendosi da Sheherazade, un'amica islamica che indossa il velo integrale. Peccato che di questa lei Mahmoud si innamori. Sotto l'abito islamico che dà il titolo al film c'è il personaggio intelligente di un ragazzo che ci guida nella conoscenza di alcuni precetti e bellissime poesie racchiuse nella cultura musulmana. La regista Sou Abadi, infatti, non intende assolutamente apparire dissacrante ma farci capire la differenza tra una religione e la sua versione oscurantista e radicalista. Si ride dall'inizio alla fine del film, senza xenofobia, ma attraverso situazioni quotidiane e divertenti. Le vicende prendono presto una via decisamente comica mantenendosi rispettose delle tematiche da cui prendono spunto. Sou Ababi ha il dono della leggerezza, con cui porta avanti questa commedia da lei interamente scritta e ideata; garbata, ben girata, senza buchi di sceneggiatura, che fa ridere molto ma anche riflettere, senza cadere nella retorica. Ottimo il cast, in particolare Felix Moati, che da vita a un'esilarante Sheherazade, tutta occhi parlanti e movimenti buffi; i suoi genitori Anne Alvaro e Miki Maojlovic (il famigerato macellaio del film con Alba Paretti) sono perfettamente a loro agio nel ruolo di spalle burlone. Il finale non poteva che essere lieto ed è l'unica cosa che stempera un po' la forza morale del film. Per stessa ammissione della regista, iraniana, Due sotto il burqa voleva essere un film tragico; Abadi voleva che lo spettatore ridesse in maniera intelligente. E poichè nella Francia di oggi, dove la regista vive, ha ritrovato alcune situazioni estreme già sperimentate in Iran, ha capito che qualcuno doveva parlarne; perché non lo si fa abbastanza. Il risultato è un piccolo capolavoro comico, in cui le risate ci aiutano a distinguere le contraddizioni e gli anacronismi di tutte le forme di repressione.