I film possono essere vere e proprie macchine del tempo. Legati a essi ognuno di noi ha ricordi, sensazioni, stati d’animo. Rivedere un determinato film, magari tutto, magari solo una scena, fa riaffiorare queste emozioni assopite. Perciò si potrebbe parlare di Independence Day come una rilettura di fine millennio de La guerra dei mondi di H.G. Wells (la soluzione finale è pressoché identica ma aggiornata agli anni '90); oppure vederlo come un precursore dei moderni blockbuster e monumentale epitaffio di un certo tipo di cinema “artigianale” (le città che esplodono sono tutti accuratissimi modellini). O, ancora, si potrebbe riflettere sulla satira all’ostentato patriottismo americano (il film è diretto dal tedesco Roland Emmerich). E invece no: questa recensione rifletterà sulla nostalgia. In Italia è la fine di settembre del 1996, un’epoca in cui i film, per quanto grossi, non uscivano nelle sale in estate perché la maggior parte dei cinema erano chiusi e non c’erano sterili petizioni on-line per indignarsi contro le case di distribuzione. Soprattutto, ancora, non esisteva una connessione globale radicata; il concetto di uscita day-to-day era sconosciuto e in nessun modo era possibile incappare in spolier o recensioni rivelatorie. Erano tempi in cui il mercato non era saturo come oggi e di film “grossi” ne uscivano al massimo un paio all’anno. Il 1996 fu la volta di Independence Day. Ora, immaginate di essere un adolescente in quel periodo. Un adolescente appassionato di cinema e di fantascienza, negli anni in cui in tv imperversava X-Files e l’hype per alieni e complotti governativi era alle stelle. E immaginate che nel mezzo di una puntata, durante lo stacco pubblicitario, vi capita di vedere un trailer dove una nave spaziale copre Manhattan e fa esplodere l’Empire State Building. Ecco, in quel momento Independence Day divenne il film della vita per un'intera generazione. Una tra le cose più enormi mai apparse al cinema. 2 Luglio, gigantesche astronavi aliene sovrastano intere città scatenando il panico prima e la distruzione poi: radono al suolo ogni cosa a suon di raggi laser; città e vite spazzate via in una manciata di minuti. 3 Luglio, quel che resta dell’umanità si ritrova in una base militare sperduta nel deserto del Nevada: la famigerata Area 51, dove il governo-ombra è consapevole dell’esistenza di esseri alieni da più di quarant’anni. 4 Luglio, la festa dell’indipendenza americana assume un nuovo significato, diventando il giorno del riscatto dell’umanità intera. Oggi sembra che la distruzione urbana sia d’obbligo in un blockbuster, ma sul finire dello scorso millennio era un’autentica novità. Independence Day inaugura questo concetto, innalzandolo all’apice più alto possibile e infarcendo tutto il primo atto con scene tanto enormi da annichilire lo spettatore: le navi spaziali che emergono da nuvole di fumo e fuoco, tanto immense da oscurare il sole proiettando le loro ombre colossali su New York, Washington, Los Angeles. Poi la devastazione che polverizza ogni barlume di civiltà; scene prolungate che indugiano su palazzi spazzati via da un’ondata di fiamme. Ma non è solo il comparto visivo a decantare la grandezza del film: dal punto di vista narrativo è un gigantesco racconto corale i cui personaggi abbracciano l’intera scala sociale degli Stati Uniti, dai redneck al presidente. Per quanto ogni personaggio sia stereotipato, semplice maschera della società, è impossibile non apprezzarne l’affresco che ne emerge. Infine vi è il patriottismo (tanto sboccato da risultare parodistico, ma questo lo si capisce solo guardando il film con un’ottica più matura) che si mischia all’eroismo senza macchia e a un senso di epicità che trionfa quando il mondo intero si unisce contro gli invasori, in un’utopica fratellanza globale. Independence Day non è di certo un film perfetto — alcuni snodi narrativi sono forzati e alcune azioni sembrano prive di una logica coerente, quasi fosse un b-movie ad altissimo budget — ma si tratta di difetti che a un adolescente maniaco di alieni non importano. Gli adolescenti pensano solo al divertimento, alle esplosioni, alla spettacolarità. «Ti avevo promesso i fuochi d’artificio» dice Will Smith nella battuta finale del film, ed è un concetto sacrosanto che riassume il senso della pellicola: una promessa mantenuta a pieno! Perché è questo che conta: spogliarsi di qualsiasi preconcetto e rivivere le emozioni provate alla prima visione, perché Independence Day è uno di quei film che ti rimane nel cuore e che ti fa sentir bene ogni volta che lo rivedi, ricordando un tempo in cui il cinema – e gli spettatori – erano meno pretenziosi e un po’ più ingenui.