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Ore 15:17 - Attacco al Treno

10/02/2018 12:00

Federica Cremonini

Recensione Film,

Ore 15:17 - Attacco al Treno

Clint Eastwood torna a raccontare gli eroi quotidiani, a modo suo

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Il 21 agosto del 2015 il treno Thalys n. 9364, diretto a Parigi e partito da Amsterdam, fu teatro di un tentato attacco terroristico, sventato da tre giovani ragazzi californiani in viaggio attraverso l’Europa: Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler, grazie alla loro amicizia e al loro coraggio, salvarono le vite degli oltre 500 passeggeri presenti a bordo. Appare doveroso e piuttosto naturale inserire Ore 15:17 - Attacco al Treno nel coerente percorso filmico che Clint Eastwood ha intrapreso, ormai da qualche anno, a partire dal bisogno di narrare storie vere di eroi reali. Dalla necessità di ricostruire gli eventi adottando punti di vista sempre nuovi, talvolta molteplici, spesso sfociando nel biopic propriamente detto. Supportato da romanzi d’origine, autobiografie o sceneggiature che ripercorrono il più fedelmente possibile le tappe cardine di episodi storici (il più delle volte legati alla propria patria), il cinema di Clint Eastwood sta progressivamente abbandonando tutti i caratteri romanzeschi che avevano caratterizzato gli ormai lontani Mystic River e Million Dollar Baby, per abbracciare forme sempre più realistiche. Così tanto che a interpretare i protagonisti di Ore 15:17 - Attacco al Treno Eastwood chiama proprio i ragazzi che furono presenti su quel Thalys diretto a Parigi: i veri Alek Skarlatos, Anthony Sadler e Spencer Stone. Il regista ripercorre la vita dei tre seguendoli dai tempi della scuola a Sacramento, degli svaghi e del softair fra i boschi; del loro precoce (ma temporaneo) allontanamento, dopo che uno di loro viene mandato a vivere con il padre fuori città, procedendo poi con il resoconto della loro formazione nell’ambiente militare e del loro viaggio in Europa, sino al momento culminante che dà il titolo al film.


Le responsabilità del singolo individuo posto in condizioni estreme, l’uomo comune alle prese con fenomeni di grande portata, erano temi già affrontati (e nel migliore dei modi) con Sully, ancora una volta racconto del reale ammaraggio del volo US Airways 1549 sul fiume Hudson e delle ore che all’eroe-pilota Chusley Sullenberger, uomo qualsiasi, cambiarono la vita. Ma per quanto riguarda Ore 15:17 - Attacco al Treno, la sceneggiatura di Dorothy Bliskal – alla prima esperienza - riorganizza, complice forse la biografia di Jeffrey Stern, la casuale sequenza di eventi che conducono i tre ragazzi verso quel treno quasi come fosse un disegno prestabilito; condisce i suoi 90 minuti con ammiccamenti e allusioni a un futuro scontro che nessuno (compresi i protagonisti) poteva immaginare, rimanendo sulla superficie delle psicologie e virando persino verso il falso documentario al fine di colmare minuti, anziché ottenerne il massimo rendimento. Rallentato da molto più di un momento superfluo, il ritmo del film ne risente nella sua globalità: Ore 15:17 - Attacco al Treno non riesce a congegnare la tensione necessaria precedente al climax finale.


Sotto il profilo prettamente politico, per giunta, non si può non considerare Ore 15:17 - Attacco al Treno un’opera per alcuni versi contigua ad American Sniper: il mito dell’eroe contemporaneo, materia comune anche a Sully, qui è sostenuto da un background militare che differisce, tuttavia, da quello del cecchino in guerra. Infatti, i tre ragazzi sono individui con uno scopo “alto” e ben saldo, che non viene riconosciuto dalle autorità sino all’attimo cruciale in cui, tramite una sorta di volontà superiore, il bagaglio personale si tramuta in arma di difesa e di attacco attraverso cui sarà possibile evitare la catastrofe. Se però di American Sniper rimane ancora l’eloquente contrasto fra le immagini finali di un corteo altisonante e la consapevolezza che dietro la morte di Chris Kyle non v’erano di certo concetti come gloria e onore (valori sbandierati da una patria tanto amata quanto negligente), in Ore 15:17 - Attacco al Treno non c'è traccia di conflitti, dubbi o quesiti di natura morale. La celebrazione finale conferisce una nota di retorica di troppo e tutto è confinato al fiero reportage di una vicenda realmente accaduta che non solleva questioni di alcun tipo. Si deve fare del bene quando si può fare del bene, e chi oserebbe metterlo in dubbio?


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