Cartacce, fogli di giornale, riviste, cumuli di polvere, finestre ispessite dal lerciume, tre computer (di cui uno soltanto funzionante), un numero sconsiderato di tastiere, cibo in decomposizione nella dispensa e gatti, gatti randagi ovunque. È questo lo scenario horror del film documentario La poltrona del padre, diretto da Antonio Tibaldi e Alex Lora. I gemelli ebrei ortodossi Avraham e Shagra abitano a Brooklyn, New York: del loro spazioso appartamento a mala pena si riesce a scorgere la moquette, sommersa da immondizia e cianfrusaglie raccattate per strada, insalubre dimora di cimici, scarafaggi e pulci. Disgustoso, direste voi. Eppure Avraham e Shagra amano quella casa così com’è: è stata la loro culla nell’infanzia e continua a esserlo anche dopo la morte dei genitori. L’inquilino al piano di sopra, vittima della puzza nauseabonda che penetra fino in casa sua, minaccia però di interrompere il pagamento dell’affitto, così adesso i due gemelli sono obbligati non solo a mettere ordine, stanza dopo stanza, nel loro appartamento, ma anche a fare i conti con le proprie manie, tentando di recuperare il controllo. La camera a spalla rende le riprese tremolanti e nevrotiche, così come nevrotici sono gli stessi protagonisti della “sporca” vicenda, che affogano la frustrazione nell’alcool. Numerosi sono i momenti di sconforto spiati dall’occhio cinico dell’obiettivo. Il taglio giornalistico impone un montaggio piuttosto scarno, le lunghe riprese consentono allo spettatore di sperimentare da vicino l’umore altalenante dei fratelli accumulatori, ora decisi a guardare avanti, ora ancorati alle abitudini che li hanno portati al tracollo. In questo caotico contesto, nessun intervento musicale deve spezzare la serietà della vicenda. La poltrona del padre racconta in sette brevi capitoli l’inabilità a sbarazzarsi delle vecchie cose, l’impossibilità del mettere da parte memorie insradicabili, ma anche la travagliata resurrezione di un luogo di vita e insieme di due uomini profondamente legati tanto ai ricordi quanto agli oggetti, per quanto malmessi siano.