Nel 2010 il regista Sean Byrne folgorò il pubblico - quantomeno quello di genere - con il suo debutto cinematografico: The Loved Ones. Un film attualmente ancora inedito in Italia, ma che non è sfuggito all’occhio attento e sempre affamato dei cultori dell’horror underground; quelli disposti a tutto pur di scovare una perla del genere. Una storia semplice: un ragazzo viene rapito da una compagna di classe che, a tutti i costi, lo vuole come accompagnatore al ballo di fine anno. Trascorrerà la serata a casa sua, come prigioniero, subendo torture a livello sia fisico che psicologico. Sean Byrne divenne subito “un regista da tenere d’occhio” nella florida corrente del new-horror australiano, che in questi anni sta regalando diverse gemme; attorno al suo secondo lungometraggio si creò una discreta attesa, carica di aspettative. Ma passarono gli anni e di annunci di un secondo lungometraggio non ne arrivarono, almeno sino al 2015 dove il suo nome balugina in alcuni festival specializzati con il film The Devil's Candy. Seguono recensioni criptiche e contrastanti, sicuramente tutte meno entusiaste rispetto a quelle che avevano accompaganto The Loved Ones, ma non per questo necessariamente disastrose. Poi per un paio d’anni torna il silenzio, finché la distribuzione underground prima (il film è visibile in streaming da dicembre 2016) e quella ufficiale poi (Midnight Factory, il 7 settembre) non lo hanno riportato alla luce. Il problema di un esordio al fulmicotone è quello di non riuscire a tenere il passo con i lungometraggi successivi. Una cosa che accade più spesso di quanto si possa immaginare, specialmente per chi bazzica l’ambiente horror al di fuori della distribuzione canonica e mainstream. Era già accaduto a Jeremy Saulnier che, dopo aver esordito con quella bomba-revenge di Blue Ruin, aveva fatto seguire Green Room: un ottimo film, anche ben superiore alla media, che però non riesce a eguagliare l’esordio. Ecco, Sean Byrne ha lo stesso problema: è bravo, è capace e c’è ancora molta speranza per il futuro; ma con The Devil's Candy, per quanto sia un ottimo film, non riesce a bissare se stesso. Perciò fingete di non conoscere The Loved Ones (ammesso che lo conosciate, altrimenti correte a recuperarlo) e partite da zero. La famiglia Hellman (madre, padre metallaro, figlia ancor più metallara) acquista una nuova casa a poco prezzo perché lì, qualche anno prima, sono accaduti fatti di sangue. Ma a loro non importa, e così si trasferiscono con il proprio bagaglio di speranze e buoni propositi. Nonostante ciò il Diavolo inzia a insinuarsi nella loro vita, lentamente, con flebili sussurri che fanno scivolare le persone in una lenta e inesorabile follia omicida. Pur essendo un film che parla del demonio non ci sono di mezzo preti, esorcismi o spaventarelli di bassa lega: The Devil's Candy è un horror d’atmosfera molto più di quanto si possa pensare, interamente giocato sul doppio filo della tensione psicologica e narrativa che Sean Byrne è abilissimo a gestire. Ha inoltre dalla sua parte una gran forza visiva che culmina nelle scene in cui il capofamiglia Jesse, un pittore costretto a dipingere farfalle per sbancare il lunario, si abbandona ai suoi istinti primordiali, affrescando scene di violenza e sangue in uno stato di trance catatonico. Affascinante e per nulla banale il lento abbandonarsi del protagonista a queste sue pulsazioni di subconsio; una discesa in cui lo spettatore sarà complice impotente. Ci sono anche echi vagamente fulciani nel film, forse dovuti al tema del pittore maledetto che fa subito venire in mente la magistrale scena d’apertura di E tu vivrai nel terrore - L'Aldilà, ma anche un senso dilangante d’inquietudine ultraterrena che culmina con il dialogo tra Jesse e il mercante d’arte. Un tema che forse meriterebbe un film a sé stante. The Devil's Candy è davvero un buon horror che, al netto del discorso introduttivo, conferma l’abilità registica di Sean Byrne e mantiene viva la fiamma di curiosità per i suoi lavori futuri, con la speranza che non si debba attendere altri sei anni per il suo prossimo film.