«Per vincere bisogna saper prevedere e anticipare le mosse del proprio avversario e trovare le contromisure». È il credo di Miss Sloane, protagonista del film diretto dal regista inglese John Madden, già autore di film di successo quali Ethan Frome, Shakespeare in Love, Il mandolino del capitano Corelli, Marigold Hotel. Elizabeth Sloane (Jessica Chastain) è una donna spietata che lavora per un’agenzia lobbystica statunitense impegnata in una campagna volta a contrastare un progetto di legge che vorrebbe regolamentare l’uso e il possesso delle armi. Ma quando viene invitata dal suo capo George Dupont (Sam Waterston) a lavorare per convincere le donne a opporsi alla proposta di legge, Miss Sloane non ci sta e, prendendo tutti in contropiede, decide di abbandonare l’agenzia e passare all’opposta fazione insieme a quasi tutto il suo staff di giovani arrembanti, pur se con la dolorosa eccezione della propria pupilla. Ma Miss Sloane è anche una donna sola, priva di una vita affettiva, che ha deciso di sacrificare in nome della carriera. Se il lato umano di Elizabeth lo verremo a scoprire in corso d’opera, quello che salta all’occhio da subito, invece, è la durezza di questo personaggio - interpretato da una veemente Jessica Chastain - che non ha esitato a corrompere uomini politici per poter arrivare al successo. È per questo che la vediamo nelle battute iniziali del film sottoposta a un interrogatorio da parte del Congresso degli Stati uniti d’America con l’accusa di corruzione. Tutta la vicenda viene raccontata alternando gli interrogatori del Congresso a quelli della campagna intrapresa per far passare il progetto di legge per la regolamentazione dell’uso delle armi. Ne deriva un dramma che sta a metà fra la spy-story e il film di denuncia, che si sviluppa su ritmi altalenanti che, solo a tratti, lo rendono teso e in qualche modo coinvolgente, complice la debole sceneggiatura di Jonathan Perera. Un film che descrive ambienti, quello delle lobby e quello politico, corrotti e marcescenti, in cui non esistono regole e dove, per vincere, è necessario essere spietati. A infastidire sono i dialoghi serrati ma spesso scontati e, soprattutto, la caratterizzazione dei personaggi, disegnati secondo i più prevedibili cliché. La donna in carriera dura e fredda, sempre "in divisa" con tailleur, tacchi a spillo e labbra carminio che si bomba di droghe e che soddisfa le proprie necessità sessuali con uomini a pagamento. I giovani collaboratori votati alla causa, per i quali nulla conta nella vita se non il lavoro e la dedizione al capo. I lobbysti spietati; i politici banalmente corrotti. Poco intrigante anche l’uso della macchina da presa, che riprende scene madri dietro vetrate di cui si fa un grande ed esagerato uso. Pure il finale - che ovviamente non sveliamo - lascia perplessi. Sia per l’immancabile, quanto improbabile, colpo di scena; sia per il tentativo di riabilitazione di un personaggio che, sino a quel momento, si era palesato in tutta la sua odiosità.