Il nome di David Benioff è ormai indissolubilmente legato a quello di D.B. Weiss come creatori de Il Trono di Spade. Ma forse pochi sanno che ha esordito nel 2001 come scrittore pubblicando un romanzo intitolato La 25ma Ora. Un libro piccolo, scritto con un evidente stampo cinematografico, per quanto la narrazione avanzi quasi totalmente attraverso i dialoghi. La storia di Montgomery Brogan, spacciatore pizzicato dalla DEA, e delle sue ultime 24 ore di libertà prima di entrare in carcere per sette anni. Un percorso di espiazione dai propri peccati che passa attraverso una notte buia e infinita, in cui dovrà dire addio a suo padre, alla sua fidanzata, ai suoi due migliori amici, al suo cane, in cerca di una redenzione che forse nemmeno esiste. David Benioff venne incaricato dalla Touchstone Pictures di scrivere l’adattamento del suo romanzo e ciò che ne uscì fu una trasposizione asciutta della storia, priva di qualsiasi fronzolo e adattata battuta per battuta nelle scene cruciali. Il solo cambiamento richiesto espressamente dal regista Spike Lee riguarda la contestualizzazione dell’opera. La vicenda si svolge infatti a New York e nel libro la città è un elemento così caratterizzato e caratterizzante da emergere come vero e proprio personaggio. Si tratta di uno dei motivi per cui Lee ha accettato di dirigere il film: sono davvero pochi i registi che hanno fatto di una città (questa in particolare) la propria musa, colonna portante del loro cinema al punto che ogni film appaia quasi come un’ode a essa. Woody Allen, in parte anche Martin Scorsese; con la differenza che loro sono nati a Manhattan, e la ritraggono come fosse una madre, mentre Spike Lee, che proviene dal Sud, da Atlanta per la precisione, la tratta come un’amante. A volte ci va d'accordo e ci fa l’amore, altre ci litiga furiosamente scagliandole addosso insulti e oggetti. Tra la pubblicazione del libro e l’inizio della produzione del film vi è stato l’attentato alle Torri Gemelle, la prima grande tragedia del nuovo millennio, che ha scosso il mondo e lacerato gli Stati Uniti, lasciando una ferita aperta nel cuore di Manhattan. Il cinema negli anni ha affrontato la tragedia attraverso inchieste (Fahrenheit 9/11 di Michael Moore), drammatizzazioni (World Trade Center e United 93) e sconcertanti documentari (I 102 minuti che sconvolsero il mondo), ma La 25ª ora è stato a tutti gli effetti il primo film che ha ritratto il dramma su celluloide. Pur non parlando direttamente della tragedia, essa emerge in maniera prepotente sullo sfondo della vicenda: dai titoli di testa che scorrono sui fasci di luce proiettati nella notte dove prima si stagliavano i due grattacieli, all’altare alla memoria dei pompieri eretto nel bar del padre di Monty; sino alla finestra dell’appartamento di Francis che si affaccia sulle rovine del World Trade Center. «Non ci penso neanche a cambiare casa» esclama osservando gli operai che lavorano tra le macerie «Con tutti i soldi che ho pagato per questo posto! Neanche se Bin Laden ne lanciasse un altro contro il palazzo accanto». Emerge il ritratto di una città dilaniata da dolore, odio e rabbia: in questo senso lo splendido monologo di Edward Norton allo specchio – una scena da manuale del cinema – coglie perfettamente l’essenza di una metropoli multietnica incapace di far convivere tutte le culture che ospita. Spike Lee dirige questo suo joint in stato di grazia, donando a ogni elemento e personaggio il giusto respiro: nessun passaggio risulta forzato, nessuna inquadratura sbagliata, nessuna battuta superflua, nessun carattere poco approfondito o stereotipato. Un meccanismo a orologeria perfetto, dove nessun elemento risulta fuori posto e dove la storia, per quanto semplice e lineare, cela più di un significato nascosto. Il film, come il libro, si apre con una scena all’apparenza del tutto slegata dal resto della storia: Edward Norton che salva un cane pestato a sangue e abbandonato tra l’immondizia. L’essenza de La 25ª ora è proprio questa: una storia disperata e dilaniata, un dramma di redenzione. Il cane, reduce da un combattimento andato male, è stato picchiato e abbandonato dal suo vecchio proprietario e trova una nuova vita tra le braccia di Monty. Ma nel momento in cui l’uomo accoglie il cane, si trasforma egli stesso in un cucciolo ferito in cerca di un nuovo inizio. In quest’ottica La 25a ora è la metafora di una discesa all’Inferno, che raggiunge il punto più basso nella scena della discoteca – parte centrale del film – dove ogni personaggio dovrà fare i conti con i propri demoni. Il protagonista di Edward Norton affronta il boss Nikolai per cui lavora; quello di Philip Seymour Hoffman trova la forza di baciare la studentessa di cui è segretamente innamorato; Barry Pepper accetta di fare una promessa dilaniante. Tutti i personaggi sono peccatori tormentati dai sensi di colpa: nessuno di loro infatti ha mai cercato di fermare o anche solo dissuadere Monty durante la sua ascesa di spacciatore. L’epilogo, infine, è un nodo scorsoio che si serra attorno alla gola tanto del protagonista, quanto degli spettatori; mentre la voce off di Brian Cox farnetica a proposito della possibilità di scappare senza più tornare, lasciandosi New York alle spalle in favore di un nuovo inizio che forse esiste davvero o forse è solamente un’illusione.