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Retreat - Nessuna Via di Fuga

11/09/2017 10:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Retreat - Nessuna Via di Fuga

Una coppia in crisi, un terzo incomodo e un mondo vittima di un'epidemia mortale

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Kate e Martin, coppia in crisi, cercano di recuperare il loro rapporto trascorrendo qualche tempo in un cottage su un'isola remota e praticamente disabitata, dove l'unica via di comunicazione con il mondo esterno è una radio con cui chiamare la terraferma per eventuali problemi e/o soccorso. Un giorno, nei pressi della loro abitazione, rinvengono un militare ferito che, dopo essersi ripreso, li informa che un'epidemia sta mietendo milioni di vittime nell'intero Paese. Il racconto del ragazzo è però confuso e i due coniugi non lo prendono inizialmente sul serio. Quando però le comunicazioni via radio non ottengono più risposte il dubbio si fa largo, mentre il nuovo arrivato inizia a manifestare comportamenti sempre più violenti e paranoici.


Non è certo il primo thriller che adopera situazioni ristrette all'interno di una narrazione pandemica, in cui l'esiguo gruppo di protagonisti si trova gioco-forza all'oscuro dei reali eventi: ma Retreat - Nessuna via di fuga evidenzia una certa originalità nelle dinamiche messe in campo, dando vita a un inquieto e ossessivo menage a trois all'interno del cottage-prigione in cui ha luogo la quasi totalità del minutaggio. Il regista esordiente Carl Tibbetts è abile nel costruire una notevole forza drammatica nella prima parte, con il background della coppia raccontato attraverso il diario scritto da Kate al computer, salvo poi lasciare il campo a un progressivo crescendo di tensione che inizia con l'arrivo del terzo incomodo, vera e propria mina vagante portatrice di sventura. Si accende così un gioco di gelosia e paranoia fino alla prima, solo parziale, risoluzione dell'enigma che pare indirizzare la vicenda su un prevedibile epilogo. I dieci minuti finali, però, ribaltano ulteriormente le carte in tavola con una manciata di interessanti sfumature che rendono - se possibile - ancora più amaro l'esito della vicenda. I novanta minuti di visione risentono a tratti di una certa monotonia, ma il senso di opprimente disagio di cui sono vittime i protagonisti è crudo e palpabile; quanto basta per suscitare la corretta scarica empatica nei confronti del pubblico. Merito soprattutto del trio di interpreti formato da Cillian Murphy, Thandie Newton e Jamie Bell, ognuno a proprio modo efficace nel caratterizzare la complessità dei rispettivi personaggi.


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