Fabio Rovazzi (nel film come nella vita reale) è un ventiquattrenne appena laureato in Scienze della Comunicazione. Vive a Milano perché è la città in grado di offrirgli un futuro radioso e la realizzazione massima. Non la pensa così Nicola, il suo co-inquilino di origini pugliesi, ben consapevole della tragica situazione lavorativa in Italia, che da tempo fa il fattorino per un ristorante giapponese. Dopo un colloquio con il Centro Direzionale, Fabio viene assunto per distribuire volantini: l'impiego è umiliante ma le speranze del ragazzo si accendono nel momento in cui viene selezionato per uno stage. Dapprima è una sorpresa il film di Gennaro Nunziante, autore e regista de Il vegetale: nelle in questa commedia (con incursioni nella satira vera e propria, di cui è massimo simbolo Barbara d'Urso che interpreta se stessa) costruisce un impianto solido e interessante su cui fa sviluppare una pungente critica contro un sistema impossibilitato a garantire un futuro - non radioso come lo vorrebbe Fabio ma neanche, perlomeno, dignitoso - ai propri figli; contro un'Italia bloccata perché è solo il residuo di ciò che è stato lasciato dalla generazione precedente. Il film di Nunziante affronta il problema del singolo individuo per ripercorrere la strada che tutta un'intera generazione (la sua) è stata ed è ancora costretta a ricalcare; come faranno, si può già prevedere, anche quelle a venire. Fabio Rovazzi non è un attore: per chi non lo ricordasse, era lui quel ragazzo milanese che, attraverso i social di maggiore visibilità (YouTube, Facebook, Instagram), si era fatto conoscere in tutta Italia sfondando con Andiamo a comandare, hit - sopportabile o meno - onnipresente su ogni radio nel 2016. Non è un attore, dicevamo, ma la sua faccia è quella giusta: perché Rovazzi a primo impatto è davvero un "vegetale" dall'aria assente, un po' alienata, fuori posto. Il suo volto è perfetto per delineare lo stato d'animo un po' incosciente, ingenuo, talvolta anche inconsapevolmente arreso e perciò spento, di tutti quei ventenni che, affacciandosi per la prima volta sul mondo del lavoro scoprono che ogni sforzo, ogni goccia di sudore finita sui libri di scuola e di università , ogni anno passato a investire nell'istruzione, non sono affatto un certificato. Nessuna laurea è una promessa e scoprono è che quei fogli, al massimo, sono un lasciapassare valido per poter solo iniziare a lottare per ottenere ciò che altri, prima di loro, hanno ricevuto come naturale e spontanea ricompensa al duro studio. Il lavoro, insomma, è l'inizio, non una tappa finale. Se il problema che concerne l'Italia e i suoi ragazzi (anche Fabio Rovazzi stesso) è questo, andrebbe sviscerato a dovere: nonostante Il vegetale apra un efficace spaccato del paese in salsa a tratti parodica, il problema che riguarda il film di Gennaro Nunziante si manifesta in un secondo atto coraggioso ma anche furbo nel raggirare l'opportunità - e anche l'impegno - di narrare l'Italia così com'è davvero. Rovazzi, che tanto vegetale alla fine non è, riparte da zero in un mondo "su misura" da lui costruito per fuggire da quello invivibile e detestabile attorno a lui; ogni causa è una causa persa e ogni guerra inutile. Apprezzabile, se non fosse che si abbandona totalmente il tentativo di dire di più sul paese e sui suoi (nemmeno tanto nascosti) "scheletri nell'armadio", sulle sue contraddizioni, sulle false promesse e false credenze. La commedia di Gennaro Nunziante è una commedia acuta, anche tenera se si vuole, ma priva di qualcosa. Un'occasione sprecata almeno in parte.