Nella classe elementare di Shoya Ishida, che ha undici anni, arriva Shoko Nishimiya, una coetanea non udente che comunica con gli altri scrivendo su un quaderno. La vita di Shoya, apparentemente normale, verrà stravolta. Infatti Shoko, che è una bambina gentile e mite, inizialmente accettata dai compagni, a causa del suo handicap piano piano comincia a venire esclusa da conversazioni e attività comuni. Mentre alcune compagne iniziano a parlare male di lei alle sue spalle, Shoya, turbato dalla dolcezza di Shoko, prova una forte rabbia nei suoi confronti, una sorta di attrazione repressa che si trasforma in bullismo. La insulta e le strappa dalle orecchie i costosi apparecchi acustici, nell'indifferenza della classe, tanto che alla fine sua madre le fa cambiare scuola. Shoya sarà messo all'indice come l'unico responsabile e da quel momento il bambino inizia a essere isolato e maltrattato a sua volta dai suoi vecchi amici. L’ostilità nei suoi confronti non avrà fine neppure alle superiori, facendolo isolare sempre di più e portandolo a un passo dal suicidio. Ma un giorno Shoya incontrerà di nuovo Shoko.
Non era facile condensare in un lungometraggio di animazione i sette capitoli del manga A Silent Voice di Yoshitoki Oima, dal quale La forma della voce è tratto. Naoko Yamada, una delle pochissime registe donna giapponesi, ne ha fatto un lavoro ad alto impatto emotivo, pieno di sfumature e con un'approfondita indagine sia del carattere dei personaggi principali che delle dinamiche che regolano i loro rapporti. Sappiamo bene che anche nel nostro paese il tema del bullismo è molto sentito, se ne parla molto e si fanno lezioni nelle scuole. Eppure il comportamento dei ragazzi non è che un riflesso di quel che vedono e ascoltano, dell'atmosfera sociale che respirano. Soprattutto quando sono intolleranza, pregiudizi e diffidenza per la diversità e l'estraneità a dominare, è facile che nel microcosmo di una classe sia il più vulnerabile a essere preso di mira.
Nella società giapponese, piuttosto diversa dalla nostra, è molto importante il senso responsabilità per le proprie azioni; l'errore del singolo viene biasimato e punito dalla collettività , e questo può accentuare il senso di solitudine. La forma della voce è un lavoro poetico e intenso, visivamente e narrativamente. Pieno di quel senso di autolesionismo, contrizione e fustigazione punitiva, tipico del melodramma asiatico. Risulta forse un po' troppo lungo, pur non riuscendo ad affrontare tutti i temi del lavoro di Yoshitoki Oima (ad esempio il perché la sorellina di Shoko si vesta da maschio) ma si tratta dell'unica pecca del film.
I due protagonisti - Shoya, il ragazzo carnefice, e Shoko la sua vittima, la ragazzina che non può udire - si assomigliano molto in quanto a sensibilità e solitudine; si trovano sullo stesso piano e soffrono nello stesso modo. Ma perfino quando cercano di diventare amici e condividere lo stesso sentimento di affetto l'uno per l'altra, non riescono a dichiararselo, non si comprendono e rimangono isolati. Scritto da Reiko Yoshida, già sceneggiatrice de La ricompensa del gatto - Studio Ghibli di Hayao Miyazaki - il film è stato diretto presso lo studio Kyoto Animation, uno dei più importanti nel panorama dell’animazione giapponese, già produttore di varie serie televisive e lungometraggi di culto.