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Il Bene Mio

06/09/2018 11:00

Valentina Pettinato

Recensione Film,

Il Bene Mio

La storia di un piccolo paese fantasma, Provvidenza, disabitato perché distrutto dal terremoto

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Tantissimi gli applausi alla fine della proiezione di Il bene mio, ultimo lavoro di Pippo Mezzapesa: dopo Il paese delle spose infelici un nuovo bellissimo racconto sull’appartenenza e le radici. Presentato alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia come evento speciale all’interno delle Giornate degli Autori, il film racconta la storia di un piccolo paese fantasma, Provvidenza, disabitato perché distrutto dal terremoto. A ricomporre i pezzi di questo abitato, ormai abbandonato, c’è solo Elia (Sergio Rubini): nonostante i tentativi del sindaco e delle autorità di convincerlo a lasciare casa sua, non si rassegna a perdere tutto. Rispetto ai suoi concittadini, che vogliono solo dimenticare il dolore, Elia diventa custode della memoria storica di un paese che non c’è più. Tra flashback e presenze spettrali che continuano a martellare nella testa del protagonista, a un certo punto arriva Nur: l’unione di queste due solitudini, molto simili tra loro, riesce a smuovere gli animi del paese.


Il bene mio è una favola toccante. C’era una volta un paese a cui le forze della natura, ostili, hanno portato via tutto. C’erano scuole, bambini felici, chiese che raccoglievano fedeli. Ma è bastato un tremore della terra per lasciare solo macerie e polvere. Ma in questo paesino c’è un uomo fantastico, che va alla ricerca di oggetti distrutti e cerca di ricomporli, fedeli agli originali, perché quello che vuole è soltanto riavvolgere il tempo a quel momento in cui tutto era davvero sensato. La scelta narrativa è quella di dipingere la disperazione con colori tenui attraverso le azioni del suo protagonista, un uomo buffo e cocciuto, che ogni giorno inizia una nuova lotta contro la Natura, sapendo che non riuscirà ad avere la meglio. Nonostante questo continua ad aggiustare oggetti, a litigare con gli altri abitanti, ormai trasferiti a Nuova Provvidenza, a sollevare il dipinto del paese che il vento butta giù tutti i santi giorni.


Tutto questo viene raccontato senza retorica, senza melodramma. Non troviamo storie d’amore, non ci sono fantasmi ma solo ricordi. A parlare sono gli elementi della terra, che sono antagonisti silenti e che, in silenzio, fanno sentire la loro presenza. Depurando la storia da elementi soprannaturali e lasciando parlare solo le macerie - quei muri delle case, messe in scena con tutta l’esperienza di chi è soprattutto un bravo documentarista - il regista porta in sala un racconto sincero e potente, in cui anche i rapporti umani sono funzionali a ribadire il bisogno che c’è di non dimenticare.


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