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Hannah

16/02/2018 11:00

Samantha Ruboni

Recensione Film,

Hannah

Un'interpretazione perfetta per una Charlotte Ramling introspettiva e intensa

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Hannah è una signora di mezza età, attaccata alle sue abitudini quotidiane e dipendente da suo marito, finito in carcere. Non sappiamo il perché, ma non ci interessa. Quello che ci interessa è quello che prova questa donna nel momento successivo alla separazione dal coniuge, dopo 50 anni. La solitudine e la disperazione che la porteranno ad annullarsi.


Concepito appositamente per Charlotte Rampling, il personaggio di Hannah è valso all'attrice la Coppa Volpi alla 74esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematrografica di Venezia. La storia di una donna e dei suoi sentimenti in un momento di crisi. L'incipit del film è proprio questa crisi: solo quando il marito finisce in prigione, la protagonista torna a essere un individuo; ed è proprio questo spaesamento che viene messo in scena. Il silenzio è l'unica compagnia: i dialoghi sono al minimo e Charlotte Rampling ci parla con le espressioni del viso e del corpo; un corpo messo a nudo, nel senso letterale del termine e anche metaforico, a livello di animo e sentimenti. Senza consorte, la protagonista non si riconosce più e stenta a vedersi allo specchio, che sembra come se fosse la prima volta. Unica valvola di sfogo è il teatro, che diviene nel film un vero e proprio urlo del subconscio, la rappresentazione di ciò che sta accadendo al suo interno, quello che la donna non riesce a estraniare e che possiamo intuire solo dal suo sguardo e dai suoi occhi. Anziché combattere la solitudine, il personaggio della Rampling fa di tutto per immergersene e rimuovere ciò che la tiene legata alla propria vita e identità: dal cane che attende il padrone davanti alla porta al lavoro con un bambino autistico, che diviene surrogato del nipote che le è stato negato, fino a proprio quel teatro che è l'unica parte della sua vita che la fa sentire se stessa. Questa sorta di discesa verso la disperazione viene sottolineata da una sequenza di ispirazione felliniana: così come Marcello Mastroianni guardava il mostro recuperato dagli abissi e capiva il senso della sua vita, così Charlotte Rampling osserva una balena spiaggiata e con un intenso sguardo comprende cosa fare. Abbandonarsi a se stessa e sparire.


La regia di Andrea Pallaoro è sublime, un vero e proprio piacere per gli occhi. È una regia attentissima ai minimi particolari, quasi in modo maniacale. I tagli cromatici ed estetici sono attentissimi e perfetti, senza però in nessun modo pesare sulla performance del girato. Charlotte Rampling è perfetta per la parte e conferma la sua bravura e sua intensità: sono molto poche le attrici che riescono a commuoverci senza proferire parola e Charlotte è una di queste. La pellicola risulta un pugno nello stomaco, ma di pura grazia. Di certo non un film facile, al quale bisogna dedicare tempo e la nostra parte più introspettiva, ma ne varrà la pena.


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