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La battaglia dei sessi

23/10/2017 11:00

Edoardo Ribaldone

Recensione Film,

La battaglia dei sessi

Nei primi anni Settanta, si scontrano in un torneo di tennis la campionessa Billie Jean King e l'ancora energico Bobby R

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Nei primi anni Settanta, sull’onda della rivoluzione sessuale e dei costumi, si scontrano in un torneo di tennis la campionessa mondiale Billie Jean King e l’ancora energico ex campione mondiale maschile Bobby Riggs. Un grande clamore giornalistico accompagna l’evento, che viene infatti ribattezzato La battaglia dei sessi. Questo "storico" episodio ci viene raccontato nel film diretto da Jonathan Dayton, dove gli autori Jonathan Dayton e Valerie Faris (gli stessi di Little Miss Sunshine) cercano di tratteggiare personaggi che, se non a tutto tondo, appaiano almeno non tanto piatti da sembrare semplici figurine. La King, dall’apparenza rocciosa e tetragona, si trova incerta sulla propria sessualità quando s’accorge che l’amicizia con Marilyn Barnett si sviluppa in un legame più profondo e inteso. Mentre Riggs, da par suo, cerca di emanciparsi dalla dipendenza dal gioco d’azzardo e dalle scommesse, che minano la relazione con la moglie Priscilla.


Nell’insieme La battaglia dei sessi si presenta come un discreto film sportivo, che alterna i campi lunghi durante le partite ai piani ravvicinati nei momenti più intimi; l’emozione e il coinvolgimento del pubblico sugli spalti durante la sfida, alle tensioni e alle frustrazioni manifestate dai personaggi quando si ritrovano in solitudine. Un riuscito, per quanto convezionale, bilanciamento fra il pubblico e il privato: il pubblico di una società la cui mentalità andava in quegli anni cambiando e le incertezze e le ambiguità che quei mutamenti portavano con sé nella vita privata degli individui, più o meno famosi. Come tutti i film consimili, anche questo mira a un finale dove si concentri l’attenzione del pubblico, quello seduto sulle gradinate, come quello in platea. Tuttavia non fanno bene al film, ambientato nel 1973, i continui ed espliciti rimandi all’attualità americana. D'altro canto l’atmosfera di allora è ricostruita in modo accademico, senza troppi sforzi, quasi bastassero un paio di basette e di occhiali dalla vistosa montatura dorata (come quelli indossati dalla protagonista) a conferire credibilità alla ricostruzione d’epoca. In tema di film sportivi, ci sentiamo di consigliare il ben più approfondito e complesso Personal best di Robert Towne (lo sceneggiatore di Chinatown di Roman Polanski, per intenderci), con Mariel Hemingway nel ruolo principale. Un film, quest’ultimo, privo di sensazionalismo e capace di mostrare la fatica di un atleta e quanto la vita privata sia intrecciata e condizionata dall’impegno quotidiano, qui nel campo della corsa. A differenza di quanto avviene ne La battaglia dei sessi, dove la coppia di interpreti si riduce spesso a macchietta, col solo scopo di strappare una risata o almeno di accattivarsi la simpatia del pubblico. Per non rovinare la sorpresa, non riveliamo il nome del vincitore: ammesso che lo spettatore non l’abbia già indovinato da sé.


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