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La signora dello zoo di Varsavia

18/10/2017 11:00

Marcello Perucca

Recensione Film,

La signora dello zoo di Varsavia

La signora dello zoo di Varsavia, animali e uomini in fuga dalla bestialità umana

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Vedere un canguro che scappa terrorizzato per le strade di una città e tigri, leoni, cammelli e altri animali che vi si aggirano più o meno indisturbati, potrebbe apparire surreale. O drammatico se la città in questione è la Varsavia del 1 settembre 1939, giorno in cui l’aviazione di Hitler bombardò la città polacca riducendola in macerie e dando l’avvio alla carneficina della Seconda guerra mondiale. Gli animali provengono dal giardino zoologico cittadino diretto da Jan Žabinski (Johan Heldenbergh) e dalla moglie Antonina Žabinska (Jessica Chastain) che, al momento dell’aggressione tedesca della Polonia, conducono una vita serena accudendo con passione e amore i vari animali, molti dei quali, appunto, fuggiranno o moriranno durante i bombardamenti.


Tratto dal libro Gli ebrei dello zoo di Varsavia di Diane Ackerman, scritto sulla base dei diari redatti da Antonina Žabinska in tempo di guerra, La signora dello zoo di Varsavia della regista neozelandese Niki Caro (La ragazza delle balene, North Country) è certamente un film onesto per i temi affrontati. Il libro e il film raccontano di come, grazie al coraggio e all’altruismo della coppia di appassionati zoologi, oltre trecento ebrei trovarono rifugio nei sotterranei dello zoo ormai privo di animali e divenuto acquartieramento delle truppe tedesche di stanza Varsavia, riuscendo così a salvarsi dall’olocausto.


Un film sulla guerra, quindi. E sulle atrocità compiute dai nazisti nei confronti della popolazione ebrea segregata nel ghetto di Varsavia. Ma, a differenza di molte opere a tematica simile, La signora dello zoo di Varsavia, pur senza lesinare scene drammatiche, vuole lanciare un messaggio di speranza e ottimismo circa la capacità di solidarietà fra esseri umani. Al di là di questo, il film (distribuito in Italia da M2 Pictures) vuole essere, oltre che un’opera sulla tragedia della guerra, anche la rappresentazione di una vicenda privata fra marito e moglie: un'idea, quest'ultima, che convince poco. Manca lo slancio emotivo e tutto è abbastanza ordinario, dalla fotografia alla musica. La sceneggiatura di Angela Workman non ha vigore e i personaggi sono piuttosto scontati; tranne, in parte, Lutz Heck (Daniel Brühl), il piccolo gerarca nazista - anch’egli zoologo e direttore dello zoo di Berlino, di stanza a Varsavia - che riesce a mostrare, nel finale, una parvenza di umanità. Il maggior interesse del film è rappresentato, forse, dalle scene realizzate con gli animali sul set nella città bombardata e dalla simbologia presente all'interno del giardino zoologico, luogo dove vengono rinchiusi gli animali ma adibito a rifugio per esseri umani considerati e trattati come bestie da altri uomini più feroci della peggior belva lì rinchiusa. Ma è poco per un film che, per i contenuti e l’impatto emotivo dell’argomento, dovrebbe essere accomunato a ben altre pellicole sullo stesso tema, da Schindler's List a Il Pianista. Del resto, al termine della guerra, i coniugi Žabinski sono stati menzionati dallo Stato di Israele come “Giusti tra le nazioni”, termine con il quale vengono indicati tutti i cittadini non ebrei che, rischiando la propria vita, hanno permesso di salvare anche un solo cittadino ebreo dal genocidio della Shoah.


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