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The Place

08/11/2017 12:00

Federica Cremonini

Recensione Film,

The Place

Paolo Genovese dirige un film corale con un cast di stelle

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The Place è il nome di un ristorante frequentato da un uomo misterioso (Valerio Mastandrea) che siede sempre allo stesso tavolo, con un libro davanti a sé. L'uomo promette a otto visitatori di esaudire i loro più grandi desideri, in cambio di "missioni" e compiti di ogni tipo da portare a termine affinché il desiderio possa avverarsi.


Presentato in chiusura della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, The Place è l'atteso ritorno alla regia di Paolo Genovese, che nel 2016 aveva presentato al mondo Perfetti Sconosciuti: opera sopra gli standard, che riuniva un cast stellare insieme a una brillante sceneggiatura, firmata dalla bellezza di cinque nomi (incluso quello del regista). Con la sua seconda opera, Genovese riunisce parte dello stesso cast (ritornano Marco Giallini e Alba Rohrwacher) con nomi nuovi ma che, certamente, non sono una novità nel panorama cinematografico italiano e che potrebbero rappresentare una garanzia per il regista italiano. Paolo Genovese imbastisce di nuovo la formula "perfetta" che aveva permesso alla sua opera prima di conferire notorietà al suo nome: The Place è girato interamente in interni - più specificatamente, in un solo interno - e può fare affidamento sulle prove recitative di attori e attrici noti (tra i quali, oltre ai sovracitati, menzioniamo Sabrina Ferilli, Alessandro Borghi, Vinicio Marchioni, Silvio Muccino, Rocco Papaleo), esattamente come accadeva per Perfetti Sconosciuti.


La struttura narrativa in tre atti, la costruzione degli spazi e la presentazione dei personaggi - gli otto visitatori che man mano entrano, dialogano uno ad uno al tavolo con l'uomo ed escono dal diner - restituiscono al film un'impronta teatrale. Tuttavia, è chiaro che il tentativo di replicare (o quantomeno rammentare) un'opera prima che trovava il proprio equilibrio in toni mai troppo farseschi, mai tragici, sospesi su una linea sottilissima in cui la raffinata comicità non giungeva mai tramite idee scontate, non abbia avuto la stessa riuscita in The Place. La costante nella filmografia di Paolo Genovese è, finora, una regia dinamica ridondante ed eccessiva per una sceneggiatura ricca che ha già del movimento al suo interno. Ma è necessario specificare che nel caso di The Place sono soprattutto le ingenuità relative alla scrittura stessa il problema più immediato e facile da identificare. Il film si dipana attraverso i resoconti verbali, mai tramutati in immagini, delle otto persone alle prese con i tasks che vengono loro assegnati: questa scelta compromette la fluidità dell'opera che, sorretta da una scrittura farraginosa, risulta meccanica, piuttosto prevedibile (in particolar modo nel momento in cui viene introdotta la prima, e unica, vera svolta narrativa) e priva di significativi colpi di scena. Poco della personalità degli individui riesce a emergere dalla struttura macchinosa del gioco a incastro di cui Paolo Genovese si compiace, non riuscendo neppure a dirigere in maniera adeguata le performances dei grandi attori che prestano volto e voce ai protagonisti (fa eccezione un Silvio Muccino stavolta convincente) e che non riescono, per quanto tentino, a donare sfumature ai propri bidimensionali personaggi. Le potenzialità di The Place erano e restano, in breve, tutte in nuce: un soggetto seducente che purtroppo, durante il processo di trasformazione in testo filmico e poi in immagini, si è offuscato.


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