Una nebbia densa, bianca, vaporosa, avvolge il protagonista: il giovane partigiano Milton (Luca Marinelli), girovagando per la campagna delle Langhe, fucile in spalla, si ritrova all'improvviso di fronte alla Villa della bella Fulvia (Valentina Bellè), nella quale ha trascorso l'estate del suo amore non ancora ricambiato, fatto di lettere e di promesse per il domani. Erano sempre in tre, ad ascoltare dischi, arrampicarsi sugli alberi, ridere e parlare: Milton, Fulvia, e l'amico fraterno Giorgio (Lorenzo Richelmy), anche lui diventato partigiano. Erano, nel passato. Prima che iniziasse la guerra. L'ultimo lavoro dei fratelli Taviani - di cui, per la prima volta, Paolo firma la regia senza il fratello Vittorio -non è solo un film di guerra. La nebbia ci introduce nella dimensione del sogno. Il tempo, che con i flashback ci riporta al passato del giovane, non esiste; e, come nei sogni, diventa presente. Il nostro presente. Lo stesso che ha spinto Paolo Taviani e Vittorio Taviani a decidere di fare questo film: un'opera necessaria, soprattutto per i giovani, per non dimenticare, per ricordare da quale parte stava la ragione e da quale parte la follia. In un'epoca storica come la nostra, nella quale – hanno dichiarato i registi – si cerca di cancellare e negare la memoria di ciò che è stato. In questo lungo sogno, Milton è appassionato di letteratura e lingua inglese; come lo era lo scrittore Beppe Fenoglio, dal cui libro omonimo il film è tratto, liberamente. In seguito ai pettegolezzi della custode della Villa, viene colto da una violenta gelosia che gli dilania il cuore e riempie l'anima di dubbi. Cosa è accaduto fra il suo amore e l'amico della sua infanzia? Milton deve correre da Giorgio per sapere la verità , ma nel frattempo l'amico viene catturato dai fascisti. Farà in tempo Milton a trovare un ostaggio da scambiare per salvare la vita di Giorgio? Facendo i conti coi dubbi e i tormenti che gli scoppiano nella testa, Milton corre, disperato, per quei boschi e campi segnati dalla guerra, teatro surreale di deliri e di incubi. Questo ultimo meraviglioso e poetico lavoro dei Taviani è fatto di immagini indimenticabili che parlano la lingua del sogno: una bambina in un campo di cadaveri, che si alza, va a bere un bicchiere d'acqua e poi ritorna a stendersi accanto al corpo della mamma. Un fascista prigioniero, con gli occhi stralunati, che canta mimando un pezzo jazz, poco prima di essere fucilato. L'abbraccio e i baci teneri e disperati di Milton ai suoi genitori, incontrati per caso sotto a un portico ventoso, a un metro dallo sguardo dei fascisti armati. Meraviglie e orrori della guerra. In questa e in altre occasioni Luca Marinelli si conferma, come ampiamente già dimostrato in Non essere cattivo e Lo Chiamavano Jeeg Robot, un attore di forza espressiva e intensità formidabili. Si può rimproverare a un sogno che nei dialoghi, a volte, le parole risultino poco naturali o che qualcosa sia imperfetto? Una Questione Privata, se non un testamento, è un dono, fatto dai grandi registi che sono la storia del cinema italiano, alle nuove generazioni. E che vuole ricordare che la guerra, ogni guerra, è una questione privata, una cosa che appartiene alla coscienza, alla responsabilità e all'azione – o non azione – di ognuno di noi. Eppure, la questione più importante, quella che salva dalla follia, che fa scordare tutto, e che fa persino correre incontro alle pallottole o saltare su un ponte minato, è l'amore.