Luigi è un ragazzo cresciuto fra criminalità e malaffare, figlio di un noto boss camorrista. Vive i suoi giorni senza un riferimento paterno, poiché può vedere il padre solo in carcere; trascorre le ore fra sogni e speranze irrealizzabili, costretto a fare i conti con la dura realtà di una vita che non ha scelto. Gramigna dà seguito al filone crime che negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede al cinema e in televisione: non ci si accontenta più soltanto di raccontare la malavita, ma si vuole osare ulteriormente cercando di capirne la psicologia e le conseguenze per chi ci si trova coinvolto. Ecco, quindi, che i riflettori e le curiosità cambiano prospettiva: un boss come è visto dal proprio figlio? Come viene percepita la malavita da chi ci sguazza – quasi per caso – sin dai primi vagiti? Queste risposte prova a darle Sebastiano Rizzo ambientando la sua storia nell’entroterra campano; ma invece di soffermarsi sullo sfarzo, lo strapotere e la coercizione camorrista, ricomincia da un ragazzo. Luigi (ispirato da Luigi Di Cicco, noto pargolo del boss Diego) viene allattato al suono delle armi e all’eco dello spaccio, fino a convivere con tutti i rischi e le tentazioni di chi mastica amaro sin da subito poiché non ha molte altre vie d’uscita. Quando un boss ce l’hai dentro casa, l’affetto verso i propri cari potrebbe venir scambiato con l’omertà e la complicità con la versione più abbordabile del bene. Il giovane in questione vuole prendere una strada diversa, grazie anche agli insegnamenti della madre e agli stimoli che arrivano dalla sua passione più grande, il calcio. Tuttavia, è costantemente alle prese con una battaglia che ha luogo nel proprio animo, perennemente messo dinnanzi a un bivio tra il bene e il male. Scegliendo una strada, che senza dubbio sembrerebbe la più giusta, potrebbe perdere l’affetto paterno. Perché, in determinati contesti, il sangue si mastica e – a volte – si sputa. Questa costante dicotomia è incarnata precisamente dalla bella presenza di Gianluca Di Gennaro (che abbiamo già notato in ruoli simili, ne Il clan dei camorristi e Gomorra – La Serie), che mescola la purezza del bravo ragazzo all’amarezza di colui che si è ritrovato a dover crescere prima del tempo: l’infanzia, come anche la giovinezza, è un lusso troppo grande per chi non può permettersi nemmeno di fermarsi a pensare. Assistiamo a una purificazione senza sconti, quasi una via crucis della redenzione, lastricata di provocazioni e compromessi. Staccarsi di dosso determinate etichette può costar caro, come insegna la vicenda di Peppino Impastato in Sicilia. Il Luigi di Sebastiano Rizzo è un eroe nero che tenta di riprendersi l'innocenza che gli hanno strappato senza volere, di espiare le proprie pene anche attraverso la durezza del carcere. Come la pianta che dà il titolo al film, il protagonista riuscirà a estirpare da sé ogni forma di devianza e tentazione tenendo sempre ben presente quale deve essere la rotta per raggiungere alla legalità.