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Insyriated

23/03/2018 12:00

Riccardo Tanco

Recensione Film,

Insyriated

Il film vincitore del Premio del Pubblico al Festival di Berlino 2017

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Mentre in Siria infuria la guerra, in un appartamento isolato a Damasco e perennemente coinvolto dai bombardamenti, vive Oum Yazan (Hiam Abbass) assieme al padre Abou Monzer (Mohsen Abbas), le figlie Yara (Alissar Kaghadou) e Aliya (Ninar Halabi), il piccolo Samir (Moustapha Al Kar), il nipote Karim (Elias Khatter) e la governante Delhani (Juliette Navis). Con la famiglia di Yazan, nella stessa casa vive anche la giovane madre Halima (Diamond Bou Abboud), insieme al suo bambino. Quando il fidanzato di Halima esce dalla casa, viene colpito a morte da un cecchino: dopo avere assistito alla scena dalla finestra della casa, Yazan e Delhani decidono di tenere nascosto l'accaduto ad Halima, preoccupandosi di tenere la famiglia al sicuro.


Presentato in anteprima mondiale alla 67° edizione del Festival di Berlino, dove si è aggiudicato il Premio del Pubblico, Insyriated è il nuovo film scritto e diretto del regista (e direttore della fotografia) belga Philippe Van Leeuw, alla sua opera seconda dopo il film Le jour où Dieu est pari en voyage del 2009, dedicato ai genocidi in Rwanda. Anche Insyriated è un dramma di guerra, stavolta ambientato nell'ancora attuale conflitto siriano. Philippe Van Leeuw opta per uno sguardo documentaristico sulla vicenda, scegliendo di seguire i personaggi tramite l'utilizzo della camera a mano: una scelta di regia che, insieme a una messa in scena scarna (tutto il film è ambientato in un unico appartamento), regala ad Insyriated un'atmosfera claustrofobica e malinconica.


La guerra è raccontata dal punto di vista degli abitanti della casa/prigione, protetti ma impotenti: quello che Insyriated cerca di fare è rappresentare senza retorica la quotidianità difficile, opposta al dramma reale del conflitto. E se nel racconto dei rapporti tra i personaggi alcuni sono più prevedibili di altri, (tutti comunque estremamente credibili), il film pare trovare la propria identità narrativa nel trasferire l'enorme disagio esterno in un malessere interiore che coinvolge tutti i coinquilini della casa. Esempio inquietante e notevole, la sequenza di stupro di Halima: una sorta di metafora di come la brutalità politica e sociale della Siria si trasformi anche in brutalità intima e privata. C'è forse il difetto di una scrittura a volte poco incisiva, ma Insyriated evita la retorica e unisce un punto di vista interessante sulla tragedia a una dicotomia pubblico/privata; un discorso interno/esterno, prigione/protezione che ricorda il cinema di Asghar Farhadi.


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