Tornano i poveri più ricchi d’Italia: la famiglia Tucci, dopo aver sperimentato la ricchezza e lo sfarzo, ci ha preso gusto. Tornati a Torresecca, Danilo, Loredana e parenti al seguito, ritrovano i loro possedimenti e, una volta riappropriati della loro agiatezza, decidono di sperimentare l’indipendenza. Il paesino dove regnano incontrastati, grazie a un improbabile referendum, riesce a uscire dall’Italia ottenendo l’indipendenza politica ed economica. Diviene, quindi, il loro feudo in cui scelgono di atteggiarsi a leader politici ostentando tutta la loro genuinità casareccia. Poveri ma ricchissimi è il sequel del fortunato esperimento proposto nelle sale lo scorso anno (Poveri ma ricchi, che si è aggiudicato il biglietto d’oro). Christian De Sica e Lucia Ocone tornano a rendere le Feste un po’ più allegre, attraverso la solita comicità che guarda ai cinepanettoni ma solo di sfuggita, senza scimmiottarli. Anche stavolta si è pescato dal repertorio variegato dei due interpreti principali, che insieme si confermano una coppia comica. La storia, dopo aver sbeffeggiato simpaticamente i benestanti, ora prende di mira i politici. Sembrano due facce della stessa medaglia, ma non è così: se un tempo i Tucci erano una mosca bianca all’interno del jet set e tutto ciò faceva ridere proprio per la mirata discrezione di una nemmeno troppo velata goffaggine, attualmente la battuta e le risate vengono scatenate proprio da una palese consapevolezza delle loro possibilità. I Caciaroni al potere danno vita a una sorta di Brexit paesana: Torresecca ormai è matura, così come maturi sono i loro abitanti, capaci di esportare il loro marchio altrove. L’esagerazione e le gaffe fanno ridere, pur lasciando inalterata la consapevolezza di quanto determinate convinzioni siano tristemente vere. I Tucci non sono altro che rappresentazioni di particolari realtà familiari e politiche che, purtroppo o per fortuna, ritroviamo quotidianamente sotto i nostri occhi. Ecco perché va riconosciuto a questo sequel la sfrontatezza di ridere su temi seri e dibattuti, tornati d’attualità. Ogni cosa è in discussione ma con la bontà e la semplicità di un supplì (capace di appianare qualsiasi divergenza, simbolo di una classe dirigente in cui la sguaiatezza diventa forza motrice). Da questi meccanismi contorti, vien fuori una commedia godibile che ha l’abilità di cogliere il segno dei tempi e riportare famiglie in sala. Un obiettivo auspicato, ma non così scontato, a causa della querelle nata intorno al regista (mai nominato dalla casa di produzione) Fausto Brizzi, che non era presente nemmeno alla conferenza stampa. Il vento degli scandali e delle polemiche non ha scalfito la solidità di un prodotto accettabile, che ha saputo cogliere le esigenze dello spettatore sotto l’albero.